Influenza degli aspetti sociali nell'investimento in arte

artasidea

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Riallacciandomi al discorso di grande buon senso di Accipicchia ti segnalo solo uno degli innumerevoli esempi che si potrebbero fare, così per farti capire nella sostanza....
Se per caso 4 o 5 anni fa tu avessi acquistato un lavoro di Otto Piene storico e di misura media avresti speso intorno ai 15 mila, oggi lo potresti rivendere tu stesso anche a Galleristi o Mercanti almeno al triplo o più, ma Piene è un caposcuola assoluto fondatore nel 57 proprio nel suo studio di Dusseldorf del gruppo ZERO con Mack, gruppo a cui si è unito poi Uecker nel 61...
Un collezionista attento e preparato forse poteva considerare che non c'era allineamento tra l'importanza storica dell'artista e le sue quotazioni, anche solo paragonandole a quelle del gruppo Azimut nato due anni dopo proprio sulla scia del gruppo tedesco...
 
Guarda, con tutto ma tutto il rispetto per le scelte di ognuno, e con tutto ma proprio tutto il rispetto per le tue in particolare, lasciami dire che stai sbagliando tutto ma proprio tutto.
1) Speculare sul mercato dell'arte è praticamente impossibile, è un sogno che taluni accarezzano, ma dal lato pratico o sei un genio o lascia stare perchè qui si fanno male galleristi, mercanti e addetti ai lavori. Figurati se ci riesce una persona "normale". I quadri si comprano per passione. Stop. I guadagni, se verranno, saranno il frutto di scelte oculate e intelligenti, di competenza e preparazione. In ogni caso si misureranno ex post grazie al gusto e all'intuizione. Immaginarli ex ante con cupidigia fa fare degli sbagli clamorosi.....


Ed infatto l'altro giorno mio padre passeggiando tra i miei quadri scuoteva le testa dicendo che lui non crede che l'Arte sia poi un così buon investimento.

Come darli torto...ma vi assicuro che abitare in un Museo di ANNINOVANTA regala ogni giorno emozioni fortissime che credo proprio aiutino non solo ad affrontare meglio la giornata ma ti aiutano ad essere "migliore dentro".
 
Ecco proprio anche un esempio comparativo, 5 anni fa circa potevi comprare 2/3 opere anni 90 di misura e più o meno alla stessa cifra una piccola opera storica di Otto Piene per l'appunto, questione di scelte...
 
Ed infatto l'altro giorno mio padre passeggiando tra i miei quadri scuoteva le testa dicendo che lui non crede che l'Arte sia poi un così buon investimento.

Come darli torto...ma vi assicuro che abitare in un Museo di ANNINOVANTA regala ogni giorno emozioni fortissime che credo proprio aiutino non solo ad affrontare meglio la giornata ma ti aiutano ad essere "migliore dentro".

Io credo invece che tu sia sulla strada buona per avere anche un ritorno in termini di soddisfazione economica, proprio perchè stai intelligentemente comprando gli ANNINOVANTA oggi che costano le cifre della contemporaneità. Inoltre la disponibilità di opere consente di scegliere con cura e competenza i pezzi migliori. Questo è proprio quello che ogni collezionista dovrebbe fare: guardare al suo tempo come a una straordinaria opportunità. Se i nostri nonni non avessero avuto paura del nuovo e avessero acquistato i loro ANNICINQUANTA oggi avremmo in casa i capolavori di quegli anni. Se i nostri padri non avessero avuto paura del nuovo avrebbero acquistato i loro anni SESSANTA/SETTANTA potendo prendere il meglio ai prezzi dell'epoca. Perchè in ogni tempo ben pochi sono così lungimiranti? Non per mancanza di risorse (se comprano vuol dire che i soldi da spendere li hanno), ma per mancanza di cultura e di interesse verso il contemporaneo. In sintesi: per insicurezza. Questo è il vero limite: comprare tardi le cose di un'altra generazione, perdendo così il proprio momento favorevole.

Però siamo parecchio OT :mmmm:
 
Io credo invece che tu sia sulla strada buona per avere anche un ritorno in termini di soddisfazione economica, proprio perchè stai intelligentemente comprando gli ANNINOVANTA oggi che costano le cifre della contemporaneità. Inoltre la disponibilità di opere consente di scegliere con cura e competenza i pezzi migliori. Questo è proprio quello che ogni collezionista dovrebbe fare: guardare al suo tempo come a una straordinaria opportunità. Se i nostri nonni non avessero avuto paura del nuovo e avessero acquistato i loro ANNICINQUANTA oggi avremmo in casa i capolavori di quegli anni. Se i nostri padri non avessero avuto paura del nuovo avrebbero acquistato i loro anni SESSANTA/SETTANTA potendo prendere il meglio ai prezzi dell'epoca. Perchè in ogni tempo ben pochi sono così lungimiranti? Non per mancanza di risorse (se comprano vuol dire che i soldi da spendere li hanno), ma per mancanza di cultura e di interesse verso il contemporaneo. In sintesi: per insicurezza. Questo è il vero limite: comprare tardi le cose di un'altra generazione, perdendo così il proprio momento favorevole.
Però siamo parecchio OT :mmmm:

Premesso che come investitore in arte non sono granché (so solo riconoscere la qualità in mezzo alla fuffa, ma di questo al mercato poco o nulla cale :rolleyes: )
e premesso che ho una stima enorme di accipicchia, pur nella non rara differenza di vedute
non sono del tutto d'accordo con questo post - vabbè, avrei dovuto dirlo prima, forse.
Perché è verissimo che esiste mancanza di interesse ed insicurezza verso il contemporaneo. Ma non è sempre stato così. O meglio, lo è sempre stato, ma allora, piuttosto che la parola contemporaneo, occorre usarne un'altra: l'avanguardia. Perché la gente il contemporaneo lo compra, se lo capisce, se trova confermati i propri criteri.
L'avanguardia che vince detta la Storia, proprio come avviene con le guerre, dove la Storia la fanno i vincitori. Ma ci sono molte avanguardie: alcune, poche, vincono, altre, molte, perdono. E lì il collezionista perde quasi tutto.

Dell'Ottocento noi potremmo considerare che sia Monet che Tranquillo Cremona fossero delle avanguardie. All'epoca costarono, almeno per un po', più o meno le stesse cifre. Poi gli impressionisti vinsero la guerra, Cremona no, nemmeno perse, ma rimase lì. Ora un Monet vale, credo, mille volte di più. Ed ho scelto un nome, Cremona, che bene o male è rimasto sulla scena. Ma se pensiamo a tutti quegli autori d'avanguardia anni 60 poi scomparsi dall'orizzonte, e che pure all'epoca si pagavano come quei nomi che qua tanto si citano, allora sì, possiamo dire che anche i loro collezionisti son rimasti sconfitti. Esattamente come gli acquirenti del nuovo-non-nuovo, da Cassinari e Messina - che pure ancora valgono - ad altri che non occorre citare, tipo Migneco o Brindisi.
Ma nella caduta sono coinvolti anche personaggi che certo avanguardia furono, o sembrarono, come Montanarini o Spazzapan. Allora, chi diffidò di loro ha fatto la mossa giusta? Certo. Ma allora prendere un Afro era quasi lo stesso che prendere uno Spazzapan. Occorreva un altro criterio, lo stesso per il quale anche Licini o Music, che avanguardie negli anni 60 non erano più, rappresentavano un investimento vincente. Non è certo un criterio di "contemporaneità". Pertanto io non so se la collezione dell'amico investart darà quelle soddisfazioni economiche di cui parla accipicchia. Gli auguro di sì, ma magari non succederà (e comunque l'amore per l'arte che risuona in quella casa ha già ripagato ad abundantiam per i denari spesi). Però il criterio non sarà, credo, quello indicato dal bravo accipcchia.
Al quale ricordo anche che le opere che piacquero ai padri dispiacciono ai figli, ma tornano di moda con i nipoti ... e poi chissà ...
Oggi si acquistano in giro (certo, mi riferisco anche ai mercatini, son tornato dal viaggio con una decina abbondante di opere pagate da 5 a 20 euro che sicuramente un tempo valevano moooolto di più) opere di metà novecento, poco o mediamente costose alla loro nascita, assai pregiate negli anni 70\90, ed ora assolutamente regalate. Viceversa, si stanno strapagando dei contemporanei "figli" degli anni 60, ma, per chi avrà eredi, non so quante buone parole riceveranno in relazione ai propri eccessi. :angry:

Magari, invece, il criterio più sensato resta quello politico-sociale. Faccio un esempio esilarante :wall:: tra 20 anni i musulmani prenderanno il potere in Italia. Sotto la bandiera dell'Islam i figurativi verranno distrutti e stop; molti astratti non verranno capiti, soprattutto gli espressionisti astratti; altri invece avranno un riconoscimento: Accardi, Licata, Boetti varranno miliardi. I Monet e i Morandi verranno svenduti a pacchi ai Giapponesi. Si processerà Tancredi per capire da che parte stava ...

Artebrixia ha appena postato l'esempio della CIA, che ha fatto "vincere" le avanguardie Pollockiane ...
 
Meno male che ginogost c'è !

.....(e comunque l'amore per l'arte che risuona in quella casa ha già ripagato ad abundantiam per i denari spesi)........

Sarò all'antica, sarò che credo ancora nell'Amicizia, ma leggendo il tuo passaggio sopra Carissimo ginogost non ho pensato minimamente a quanto guadagnerò o perderò con i miei acquisti in Arte ma quanto ho già avuto e spero avrò in futuro dall'Arte.

Non sò se posso già darti un nuovo ennesimo bollino verde, ma certo posso pubblicamente dirti questo si per l'ennesima volta GRAZIE e sono onorato della tua Amicizia.

Un forte abbraccio.


investart
 
Magari, invece, il criterio più sensato resta quello politico-sociale. Faccio un esempio esilarante :wall:: tra 20 anni i musulmani prenderanno il potere in Italia. Sotto la bandiera dell'Islam i figurativi verranno distrutti e stop; molti astratti non verranno capiti, soprattutto gli espressionisti astratti; altri invece avranno un riconoscimento: Accardi, Licata, Boetti varranno miliardi. I Monet e i Morandi verranno svenduti a pacchi ai Giapponesi. Si processerà Tancredi per capire da che parte stava ...

Artebrixia ha appena postato l'esempio della CIA, che ha fatto "vincere" le avanguardie Pollockiane ...


Grazie Gino,
colgo l'occasione per rimandare "a settembre" queste due discussioni:
http://www.finanzaonline.com/forum/33113313-post1500.html

http://www.finanzaonline.com/forum/33113323-post1501.html

che piacquero a pochi, ma tant'è:boh:
nemmeno l'Oriana Fallaci piacque :censored:


Per birobiro .....
Investire in arte?
ma con quattro palanche....:no::no:

Può andarti bene 1 volta
ma poi il pelo puoi anche perderlo ma il vizio no
Quindi sbagli le 10 volte successive:(

Se non ami l'arte e non sei collezionista
lascia stare

a meno che non sia speculatore
ma non bastano quattro palanche:no:
 
Premesso che come investitore in arte non sono granché (so solo riconoscere la qualità in mezzo alla fuffa, ma di questo al mercato poco o nulla cale :rolleyes: )
e premesso che ho una stima enorme di accipicchia, pur nella non rara differenza di vedute
non sono del tutto d'accordo con questo post - vabbè, avrei dovuto dirlo prima, forse.
Perché è verissimo che esiste mancanza di interesse ed insicurezza verso il contemporaneo. Ma non è sempre stato così. O meglio, lo è sempre stato, ma allora, piuttosto che la parola contemporaneo, occorre usarne un'altra: l'avanguardia. Perché la gente il contemporaneo lo compra, se lo capisce, se trova confermati i propri criteri.
L'avanguardia che vince detta la Storia, proprio come avviene con le guerre, dove la Storia la fanno i vincitori. Ma ci sono molte avanguardie: alcune, poche, vincono, altre, molte, perdono. E lì il collezionista perde quasi tutto.

Dell'Ottocento noi potremmo considerare che sia Monet che Tranquillo Cremona fossero delle avanguardie. All'epoca costarono, almeno per un po', più o meno le stesse cifre. Poi gli impressionisti vinsero la guerra, Cremona no, nemmeno perse, ma rimase lì. Ora un Monet vale, credo, mille volte di più. Ed ho scelto un nome, Cremona, che bene o male è rimasto sulla scena. Ma se pensiamo a tutti quegli autori d'avanguardia anni 60 poi scomparsi dall'orizzonte, e che pure all'epoca si pagavano come quei nomi che qua tanto si citano, allora sì, possiamo dire che anche i loro collezionisti son rimasti sconfitti. Esattamente come gli acquirenti del nuovo-non-nuovo, da Cassinari e Messina - che pure ancora valgono - ad altri che non occorre citare, tipo Migneco o Brindisi.
Ma nella caduta sono coinvolti anche personaggi che certo avanguardia furono, o sembrarono, come Montanarini o Spazzapan. Allora, chi diffidò di loro ha fatto la mossa giusta? Certo. Ma allora prendere un Afro era quasi lo stesso che prendere uno Spazzapan. Occorreva un altro criterio, lo stesso per il quale anche Licini o Music, che avanguardie negli anni 60 non erano più, rappresentavano un investimento vincente. Non è certo un criterio di "contemporaneità". Pertanto io non so se la collezione dell'amico investart darà quelle soddisfazioni economiche di cui parla accipicchia. Gli auguro di sì, ma magari non succederà (e comunque l'amore per l'arte che risuona in quella casa ha già ripagato ad abundantiam per i denari spesi). Però il criterio non sarà, credo, quello indicato dal bravo accipcchia.
Al quale ricordo anche che le opere che piacquero ai padri dispiacciono ai figli, ma tornano di moda con i nipoti ... e poi chissà ...
Oggi si acquistano in giro (certo, mi riferisco anche ai mercatini, son tornato dal viaggio con una decina abbondante di opere pagate da 5 a 20 euro che sicuramente un tempo valevano moooolto di più) opere di metà novecento, poco o mediamente costose alla loro nascita, assai pregiate negli anni 70\90, ed ora assolutamente regalate. Viceversa, si stanno strapagando dei contemporanei "figli" degli anni 60, ma, per chi avrà eredi, non so quante buone parole riceveranno in relazione ai propri eccessi. :angry:

Magari, invece, il criterio più sensato resta quello politico-sociale. Faccio un esempio esilarante :wall:: tra 20 anni i musulmani prenderanno il potere in Italia. Sotto la bandiera dell'Islam i figurativi verranno distrutti e stop; molti astratti non verranno capiti, soprattutto gli espressionisti astratti; altri invece avranno un riconoscimento: Accardi, Licata, Boetti varranno miliardi. I Monet e i Morandi verranno svenduti a pacchi ai Giapponesi. Si processerà Tancredi per capire da che parte stava ...

Artebrixia ha appena postato l'esempio della CIA, che ha fatto "vincere" le avanguardie Pollockiane ...



Che bello leggerti!!!!OK!OK!OK!
 
Ciao Gino,
ti ringrazio per le tue bellissime parole di apprezzamento.
Rispondo con piacere a questo tuo intervento ricco di puntualizzazioni interessanti e di osservazioni intelligenti.
Tu suggerisci di usare il termine “avanguardia” al posto di “contemporaneità”. Fino alle avanguardie storiche (o “prime avanguardie”), quando la pittura contemporanea di allora era quasi sempre convenzionale o comunque “innovativa” a piccole dosi (tranne qualche genio assoluto che ha introdotto novità dirompenti), questo distinguo aveva un suo senso importante e concreto. Ma dal dopoguerra in poi, l’arte diventa avanguardia per antonomasia (si parla infatti di “neo-avanguardie” in modo molto più diffuso e si arriva in poco tempo al “post-moderno”), perché da rappresentazione diventa concetto, da raffigurazione diventa sperimentazione. Il termine avanguardia perde la sua accezione di “rottura” e diventa semplicemente il modo “contemporaneo” di definire l’arte del tempo presente. Un tempo “rifare”, “richiamare”, “citare”, erano termini frequentemente usati per riconoscere piccoli avanzamenti, se non addirittura poco percettibili spostamenti laterali di un’arte che non poteva fare altro che seguire i ritmi lenti (rispetto ad oggi) di tutte le altre manifestazioni dell’umano progredire. Poi dagli anni cinquanta in poi, tutto è diventato più vivace e impetuoso, i progressi scientifici si sono accavallati in un crescendo esponenziale. Inoltre gli aspetti della “globalizzazione” e della “contaminazione” iniziano a diventare sempre più caratterizzanti e preponderanti. L’arte non poteva più tenere i suoi ritmi tranquillizzanti, aspettare che il pubblico capisse facilmente e adeguasse la propria sensibilità e conoscenza. Correva velocemente. Doveva, come sempre aveva fatto, esprimere il presente. Ma il presente è diventato rapidissimo. Non c’è più tempo per sedimentare niente. La cultura deve avanzare ad una velocità almeno pari a quella della scienza. Ed ecco le commistioni tra arte e scienza, i nuovi linguaggi che si formano insieme alle nuove scoperte. L’arte è diventata una frontiera sempre più avanzata, l’anticipazione del futuro. E va bene così. L’unico aspetto negativo, se negativo, è che il pubblico si perde per strada: un linguaggio complesso diventa inevitabilmente per iniziati. L’arte presuppone una conoscenza molto più allargata in termini geografici e interdisciplinari. Non basta più una visone ristretta, locale o nazionale, e non basta più guardare per capire. Bisogna sapere e studiare. Quante volte il “non mi piace” è invece espressione di “non capisco”?
Per concludere, ma sarei felice di poter continuare questa discussione avvincente, l’arte contemporanea oggi è per definizione “processo di avanzamento”. La ripetizione semplice, la stagnazione culturale, il rifacimento di qualcosa già fatto, la citazione di qualcun altro per mancanza di idee proprie, non sono più arte. Si tratta di buon artigianato, di decorazione rassicurante, un modo forse necessario per far riprendere fiato a chi non ce la fa a tenere il passo veloce di chi sta davanti. Ma l’Artista è proprio colui che è avanti, che corre il rischio della trincea, che immagina, anticipa e riesce a contribuire a creare la cultura di domani.

…..

Più tardi vorrei discutere anche degli aspetti politici-sociali da te introdotti…
ma qui siamo OT: non si potrebbe spostare il tutto in altra discussione?
 
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Eccomi qua Gino,
dicevo, riguardo al tuo richiamo agli anni 60, è vero che i collezionisti di allora potevano scegliere tra i soliti nomi tanto celebrati oggi (che erano i portatori di valori nuovi, e che quindi venivano dai più derisi e stroncati), e i da te citati Cassinari, Messina, o peggio Migneco e Brindisi (che rappresentavano esattamente il nuovo-non-nuovo – e aggiungo io il piattume rassicurante, quindi). Poi c’era indubbiamente chi guardava persino questi con diffidenza e sospetto e pensava che l’arte avrebbe dovuto ritornare addirittura indietro. Chissà perché, visto che storicamente indietro non si torna mai ma semmai si rielabora qualcosa del passato con spirito comunque sempre nuovo. Su chi abbia avuto ragione, non serve discutere.
Quindi il concetto di contemporaneità va capito bene: non è assolutamente vero che tutto quello che è contemporaneo è giusto, bello e importante. Tutto va setacciato con cura.
Come dicevo nel post di questa mattina dal dopoguerra in poi “contemporaneo” prende via via più velocemente il posto del termine “avanguardia” nel senso che ogni manifestazione artistica (artistica vera) guarda avanti, crea nuovi linguaggi, si propone di creare nuova cultura. Il resto non conta o comunque rimane fuffa più o meno gradevole per il mercato. L’Arte non può soffermarsi a “rifare” a “ripetere”. L’Arte è l’espressione dell’uomo e del suo essere visionario. Nessun animale potrà mai chiedersi come sarà il domani, l’Uomo deve chiederselo ogni giorno. Certamente questa spinta verso il futuro deve avvenire con elaborazioni intelligenti, con l’acquisizione delle idee innovative legate ai progressi scientifici e culturali da un lato, e con la consapevolezza dei progressi di crescita individuale e di maturazione sociale dall’altro. Pertanto non basta, e non è mai bastato, fare qualcosa di “strano” (i Sacchi di Burri, non sono “strani”, le scatolette di Manzoni non sono “balordaggini”). L’Arte è qualcosa di intelligente, è elaborazione di un pensiero. L’Arte sta in cima. Alcune ideologie hanno cercato di farla sprofondare, ma c’è poco da fare: rimane una elaborazione di pensiero evoluto.
E’ vero però che alcuni di questi linguaggi proprio perché evoluti, sono di difficile comprensione e quindi, inevitabilmente, non per tutti.
Del resto i nostri nonni riescono a mala pena ad accettare il cellulare, i nostri padri lo usano male e lo guardano con diffidenza, noi lo usiamo benino, i nostri figli sanno perfettamente come sfruttarne tutte le potenzialità. La colpa non è né di chi è venuto prima, né tantomeno di chi viene dopo. Ognuno capisce quello che può secondo le sue esperienze e il suo vissuto. Chi dimostra interesse e studia il nuovo in ogni caso capisce di più di chi si limita a dire che il nuovo è difficile e quindi è brutto.
Le scelte “contemporanee” in ogni tempo non dovrebbero prescindere da queste considerazioni di base.

…..

Più tardi vorrei parlare degli anni 60 e delle vittorie e sconfitte dell’Arte in quel periodo cruciale
 
Ciao Gino,

dal dopoguerra in poi .... L’arte presuppone una conoscenza molto più allargata in termini geografici e interdisciplinari. Non basta più una visone ristretta, locale o nazionale, e non basta più guardare per capire. Bisogna sapere e studiare. Quante volte il “non mi piace” è invece espressione di “non capisco”?

La ripetizione semplice, la stagnazione culturale, il rifacimento di qualcosa già fatto, la citazione di qualcun altro per mancanza di idee proprie, non sono più arte. Si tratta di buon artigianato, di decorazione rassicurante, un modo forse necessario per far riprendere fiato a chi non ce la fa a tenere il passo veloce di chi sta davanti. Ma l’Artista è proprio colui che è avanti, che corre il rischio della trincea, che immagina, anticipa e riesce a contribuire a creare la cultura di domani.

Intervengo solo per evidenziare un paio di punti e poi vi lascio proseguire che andate benissimo così. OK!

Se il discorso è come scegliere in una marea di artisti contemporanei quelli che saranno coloro che resteranno e costeranno domani, mi sembra che Gino abbia colto nel segno: era difficile 120/100/60/40 anni fa, quasi impossibile oggi proprio per i motivi che hai evidenziato.
Sono troppi i fattori che condizionano l'avverarsi di questo obiettivo e la conoscenza non basta. Neanche se ci si dedica solo a questo.

Se poi si sposta il discorso sul significato di "Arte" al giorno d'oggi si apre un mondo fatto di interpretazioni individuali e la tua lettura di ciò che è arte diventa personale.
Mi vengono in mente un paio di pensieri in proposito:
il primo è di un grande collezionista di arte antica, nobile toscano, che sosteneva che "ciò che deve essere spiegato non è arte".
E poi Egon Schiele, pupillo di Klimt, che sosteneva che “ .... chi pretende che un'opera d'arte gli debba essere spiegata non deve essere ascoltato, è troppo
limitato per comprendere”. ;)
 
Se il discorso è come scegliere in una marea di artisti contemporanei quelli che saranno coloro che resteranno e costeranno domani, mi sembra che Gino abbia colto nel segno: era difficile 120/100/60/40 anni fa, quasi impossibile oggi proprio per i motivi che hai evidenziato.
Sono troppi i fattori che condizionano l'avverarsi di questo obiettivo e la conoscenza non basta. Neanche se ci si dedica solo a questo.

Se poi si sposta il discorso sul significato di "Arte" al giorno d'oggi si apre un mondo fatto di interpretazioni individuali e la tua lettura di ciò che è arte diventa personale.
Mi vengono in mente un paio di pensieri in proposito:
il primo è di un grande collezionista di arte antica, nobile toscano, che sosteneva che "ciò che deve essere spiegato non è arte".
E poi Egon Schiele, pupillo di Klimt, che sosteneva che “ .... chi pretende che un'opera d'arte gli debba essere spiegata non deve essere ascoltato, è troppo
limitato per comprendere”.
;)

Vorrei controbattere che :
1) La conoscenza non basta, è vero. Ci vuole una dote rara che è l'intuito. Certo che se uno pensa che sia solo questione di fortuna... è lontanuccio !

2) Probabilmente questo nobile collezionista si riferisce all'arte che conosce meglio. Se si affacciasse sul contemporaneo dubito che direbbe la stessa cosa...

3) Probabilmente intendiamo la stessa cosa: l'Arte non va spiegata infatti e l'ultima cosa che deve fare un Artista è affannarsi a spiegare al pubblico quello che ha fatto e perchè lo ha fatto. Semmai deve teorizzare la propria ricerca, perchè la si possa studiare. E quindi capire. E' la solita vecchia questione di cui abbiamo scritto già tante volte: emozione o ragione? Certo che pretendere di capire con l'emozione un taglio di Fontana o una mensola di Donald Judd è una bella impresa. Con la ragione è più facile !
 
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Vorrei controbattere che :
1) La conoscenza non basta, è vero. Ci vuole una dote rara che è l'intuito. Certo che se uno pensa che sia solo questione di fortuna... è lontanuccio !

2) Probabilmente questo nobile collezionista si riferisce all'arte che conosce meglio. Se si affacciasse sul contemporaneo dubito che direbbe la stessa cosa...

3) Probabilmente intendiamo la stessa cosa: l'Arte non va spiegata infatti e l'ultima cosa che deve fare un Artista è affannarsi a spiegare al pubblico quello che ha fatto e perchè lo ha fatto. Semmai deve teorizzare la propria ricerca, perchè la si possa studiare. E quindi capire. E' la solita vecchia questione di cui abbiamo scritto già tante volte: emozione o ragione? Certo che pretendere di capire con l'emozione un taglio di Fontana o una mensola di Donald Judd è una bella impresa. Con la ragione è più facile !

Ecco il vero Accipicchia, tutto aperto al nuovo! Mi scoccia un po', di fronte al tuo entusiasmo di fuochista, prendermi il ruolo di frenatore. Pazienza, però, basta non pensare che io guardo solo all'indietro, che non è (ma sono anni che la mia "tolleranza", secondo me, non viene proprio premiata).

Intanto, partendo dalla coda, capisco la differenza tra spiegare e teorizzare, ma è sottile sottile. In pratica, io artista non spiego nulla, ma dopo aver io invece ampiamente teorizzato, la spiegazione te la dai tu spettatore da solo. :p
Ciò pone l'artista nel nobile (a priori) ruolo di Maestro che apre le porte del futuro. Tu dici che le spiegazioni teoriche :D :D con cui l'artista apre quelle porte non sono bassa suggestione, condizionamento culturale, imbonimento da contorsionisti, manipolazione dei cervelli. Io credo pure che talvolta non lo siano, ma è raro. E quando si tratta di ricerca vera e sincera, occorre vedere quanto essa non consista in una manusturbatione autoappagante, quando non addirittura in una sfacciata promozione economica del suddetto artista - anzi, autore.

Poi, cioè prima, mi dici che la conoscenza non basta, ci vuole pure l'intuito. Qui c'è una contraddizione. Se la conoscenza è un fatto di ragione, l'intuito è però una ragione che si è incarnata nel sentimento, e l'impulso ora parte da questo con sicurezza, o sicumera, senza tanti calcoli, proprio come un falco che si butti sulla preda, e il collezionista usa come strumento l'intelligenza animale (educata) della propria periferia corporea (l'occhio, in questo caso).
Attenzione, però, che questo è l'intuito necessario a riconoscere la buona opera d'arte. Ma se parliamo di investimento serve un diverso intuito (lo so bene :wall:), e allora, di quali notizie razionali sarà nutrito questo intuito da investitore? Mettici conoscenze dell'economia, della politica, della società, del lunatico e manovrato mondo che gira intorno alle aste e ai musei: poi, alla fine, anche della storia dell'arte e della qualità artistica.
Ripeto che, se Stalin avesse conquistato il mondo, oggi staremmo a parlare di come l'autore abbia saputo esprimere la dignitosa fermezza del lavoratore e indicato un futuro radioso alla società. Burri sarebbe marcito in galera cucendo sacchi di caffè, Castellani in Siberia a fare il ciabattino, Plessi rieducato a suon di lavande gastriche eccetera.

Magari alla fine si tratta di capire quali condizionamenti il futuro potere vorrà darci e quali saranno gli autori che di questo condizionamento si faranno i migliori interpreti. Tanto per dire, la società dei consumi ha prima privilegiato il manifesto come vettore di bisogni (inizialmente con grande dignità estetica, poi sempre meno, ma tuttavia ancora con una certa attenzione alla qualità), poi il manifesto ha partorito lo slogan (arte concettuale pura, se vogliamo), il quale ha cannibalizzato anche l'arte (oltre che i cervelli, in quanto lo slogan non costa fatica all'osservatore, ma, viceversa, lo indirizza al tutto-già-pronto), nel senso proprio che l'arte concettuale parte dallo slogan (cioè una formulazione sintetica e programmatica) e ne fa derivare il prodotto.
Gran parte dell' "arte" oggi prodotta, da Koons a Boetti, risponde a questo impoverimento concettuale, spacciato come visione sintetica del mondo moderno. Quento si è voluto in alto, e questo "democraticamente" si è realizzato "sotto".
Io lo vedo anche in musica, dove son sempre di più le persone che credono il rock sia cultura (il rock è appunto la controparte musicale, impoverita, se possibile, del moderno manifesto).
Pertanto, se abbiamo una società di semi-zombi, cioè gente intelligente, sensibile in vario grado e anche in grado di ragionare, ma che non riesce ad avere una autonomia di pensiero sufficiente a divenire davvero autonoma (che costa fatica e dolore, oh sì), andremo verso un'arte per semi-zombi, che lascio a te immaginare, ché tanto io non ci prendo mai.

Infine, mi permetto di notare che ancora non si sa perché chi ha puntato su Montanarini abbia perso e chi su Afro abbia vinto. :)
 
Mi appiattisco sull'intervento di Gino :bow: e dico al caro Acci che oltre alla cultura e all'intuito e alle decine di variegate argomentazioni che contribuiscono (a volte inspiegabilmente come diceva Gino) al successo di uno e all'oblio dell'altro, direi che in sintesi il problema per noi oggi si risolve per lo più nel fattore C :D
 
...
Ripeto che, se Stalin avesse conquistato il mondo, oggi staremmo a parlare di come l'autore abbia saputo esprimere la dignitosa fermezza del lavoratore e indicato un futuro radioso alla società. Burri sarebbe marcito in galera cucendo sacchi di caffè, Castellani in Siberia a fare il ciabattino, Plessi rieducato a suon di lavande gastriche eccetera.
...

Carissimo Gino, la tua considerazione è suggestiva e colorita, ma parte dal presupposto che l'Arte (uso la A maiuscola) sia assoggettabile e governabile dalla politica, o ancora peggio, che sia essa stessa un'espressione politica. In parte è vero, ma in gran parte no perchè è soprattutto libera espressione del pensiero umano. Ogni regime totalitario ha sempre tentato di appiattire e controllare le espressioni artistiche, ma queste forzature sono sempre durate lo spazio di quel regime, poi la Storia (uso la S maiuscola) tende più o meno a rimettere a posto le cose. Finito il regime di turno, ci si accorge sempre che l'Arte ha comunque seguito il suo corso positivo, un processo naturale e inarrestabile di evoluzione.
Burri sarebbe venuto alla ribalta ancora più tardi, ma la sua rivoluzione non sarebbe comunque passata inosservata. Castellani sarebbe finito in Siberia, ma poi sarebbe stato comunque riconosciuto. Molto probabilmente avrebbero prodotto meno, perchè sarebbero stati bloccati e controllati, ma il ruolo di innovatori, a loro e ad altri ovviamente, sarebbe stato riconosciuto in modo ancora più eclatante. Gli artigiani e le fabbriche si possono bloccare, ma il progresso intellettuale no. Perchè l'Arte è appunto libera espressione del pensiero.
La storia è un continuo alternarsi di poteri e contropoteri, di nuove egemonie. Tuttavia nessuna egemonia è mai riuscita a cancellare tutto il resto. Dittature e imperi, assolutismi passati e integralismi (ahimè) attuali, non hanno mai avuto e non avranno mai il monopolio del pensiero. Non lo hanno avuto nel passato quando gli spostamenti e le comunicazioni erano problematici, figuriamoci nel presente, dove gli spostamenti di persone e opere sono velocissimi e i mezzi di comunicazione permettono di divulgare ogni cosa in modo istantaneo. Non si poteva annullare il libero pensiero delle prime civiltà, figuriamoci se si può annullare il pensiero delle civiltà moderne. Questo è progresso. Positivo, come vedi. Non c'è dubbio!
Tutto ciò per dire che l'Arte va per la sua strada, indipendentemente.
Il mercato, è un'altra cosa. Più difficile da intuire.
 
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Cercherò di essere breve per non annoiare nessuno.
Se il topic fosse titolato influenze dell'arte sugli aspetti sociali sarei stato più preso dal trovare una risposta, avrei azzardato che ai primordi dell'uomo l'arte influiva sul sistema sociale in quanto poneva elementi propiziatori o magici, quindi si inseriva nel sociale così come entra una lama affilata nel burro.Poi nel corso dei secoli l'arte è stata usata, così come ancora oggi, quale mezzo di controllo sociale, di persuasione, ma anche come critica alla società.Poi l'arte si è svincolata dal sistema sociale idealizzando se stessa e ponendosi come cosa non più utile, ma bella e poetica sol perché esiste. In queste poche righe così come sopra riassuntivamente espresse avrei trovato però tante cose interessanti da elaborare, da riflettere da ampliare escludendo l'aspetto lucrativo, il mercato.
Ma il topic non è così...ma è: come l'investimento in arte influisce sugli aspetti sociali.Ossia gli effetti e cause di un sistema sociale che investe in arte. Credo che psicologicamente mi verrebbe spontaneamente da dire che si tratta di un sistema sociale ammalato, vittima del lucro, ma poi, pensandoci bene direi che l'arte (per mercanti e investitori) è diventata un bene speculabile come le azioni, come una forma di formaggio da invecchiare, come diamanti o monete d'oro.E' chiaro, anzi, ovvio (termine abusato e che sta venendomi a nausea crescente) che quello che ho appena scritto è riferito a chi vede l'arte come investimento e non a chi ne apprezza certi valori che adesso tralascio di descrivere ma ben comprensibili senza altri commenti. Ciò non toglie che c'è sempre una numero crescente di amanti d'arte che si improvvisano imprenditori investendo proprio sull'arte :'(Vabbè, per adesso chiudo qui.
 
Continuo il mio ragionamento su quanto sia difficile apprezzare “il nuovo”.
Guardando ai principali movimenti, per i quali è più facile valutare il peso innovativo rispetto ai singoli Artisti, si capisce facilmente come la Storia abbia sempre e comunque premiato il nuovo (il nuovo che abbia un senso, non il nuovo nel senso di “strano”). A volte il riscontro è stato abbastanza pronto, molto più frequentemente il riconoscimento è stato tardivo, proprio perché il “nuovo” (se intellettualmente di valore) anticipa sensibilità e coscienze, gusti e cultura.
E’ facile citare l’”Impressionismo”, troppo diverso dalla pittura classica. Fu una svolta decisiva.
L’”Espressionismo” accentuò i valori emozionali ed espressivi e ignora la realtà. E' stato inizialmente più che disprezzato, poi divenne un’Arte universale.
Il “Cubismo” distrusse prospettiva e canoni accademici tradizionali.
Il “Futurismo” esplorò il futuro, esaltò la modernità e mitizzò la velocità.
La “Metafisica” pur non essendo una vera avanguardia preparò il terreno al Surrealismo.
Il “Dadaismo” uscendo dalla prima guerra mondiale volle proporre un’Arte originale e non razionale, quindi dissacrante e antiborghese.
Il “Surrealismo” nacque dalla psicologia moderna e si ispirò all’inconscio.
L’”Informale”, creò una rottura definitiva con il passato che tra le sue colpe aveva anche la terribile guerra appena conclusa. Totalmente rivoluzionario, non a caso fu avversato tenacemente da tutti i regimi totalitari. Rifiutando ostinatamente il concetto di forma, ampliò l’astrattismo e diventò la matrice di ogni Arte contemporanea successiva. Da qui in poi il problema che l’Arte dovette risolvere fu “come uscire dall’Informale”. L’Informale infatti era diventato talmente forte, radicato e universale da costituire un apparente blocco per ogni ulteriore progresso.
Il “Concettuale” risolve questo problema eliminando qualsiasi significato emozionale. Si arriva, esasperando il “concetto” ad un’Arte che può fare a meno del tutto o in parte del suo stesso prodotto: l’opera d’arte.
Ho delineato in estrema sintesi questo percorso, per dimostrare come, attraverso le varie epoche, i vari regimi, le guerre mondiali più devastanti, le tensioni politiche e sociali più aspre, l’Arte ha sempre imboccato la strada del progresso (ovvio comunque che all'interno di ogni periodo ci sono sempre stati pseudo artisti che non avevano nulla di importante da dire, ma limitiamo questa analisi ai protagonisti che contano). Ignorare questo aspetto di “continuo avanzamento” e bollare questa o quella espressione artistica come “ridicola” o “degenerata”, non coglie il suo significato profondo: quello di contribuire ad elevare il grado di intelligenza delle società nel loro insieme e dell’individuo, partecipe o meno. Non mi pare corretto quindi pensare di mettere uno stop dopo questa o quella tappa di quello che in realtà non è che un interminabile divenire, come se tutto il seguito sia da considerasi di minor livello o addirittura negativo. La Storia non si è mai fermata, e certamente non si fermerà.
Ovviamente ho voluto delineare un profilo alto, la Storia nel lungo periodo. Non mi riferisco alle piccole cose del “momento”. Parlo di tendenze. Queste tendenze dovrebbero diventare patrimonio culturale condiviso di ogni Studioso, di ogni fruitore (il Collezionista che studia), e magari dei Politici. Purtroppo in ogni epoca ben pochi hanno saputo aprire le proprie menti per capire il "nuovo" e poter valutare liberamente senza preconcetti.
 
Hai visto che roba, nello stesso identico secondo abbiamo postato insieme...credo che in quel momento si è creata una simbiosi artistica:D:D
 
Bene, ora dopo l’ampio cappello introduttivo (se troppo ampio mi scuso), arrivo a chiedere:
a) L’Arte può davvero essere compresa da tutti?
b) Quanti sono sinceramente convinti che tutta l’Arte è vera e non è un colossale bluff?
Prendendo spunto dalla rapida disamina che ho fatto sopra, possiamo dire che il livello di accettazione e comprensione più diffuso è ancora fermo all’Impressionismo (1860-1880 circa). Arte di 150 anni fa!!!
L’Espressionismo (1905-1914 approssimativamente) viene riconosciuto come una drammatizzazione della realtà attraverso la deformazione delle figure e l’accentuazione dei colori. Pochissimi ne sanno di più. Siamo all’Arte di 100 anni fa e per molti è il limite massimo di accettazione.
Non parliamo dell’Astrazione, teorizzata nel 1910-1911 da Kandinsky. Il comune sentire è ancora lontanissimo dall’averne sdoganato la fondamentale importanza. Siamo per lo più al “non si capisce niente”. A cento anni di distanza!
Il Dadaismo (1916) dal pubblico comune è considerato “un grande imbroglio”. 100 anni non sono bastati perché quest'Arte inusuale possa almeno essere giustificata.
Metafisica e Surrealismo sono più vicini al figurativo quindi già molto più popolari. Ma siccome propongono temi complessi, sono accettati solo superficialmente. Pochi ne conoscono la storia, i temi, i perché. Vengono guardati anche con ammirazione, ma non si sa cosa vogliono dire.
L’informale (anni 50). Oggi ormai tutti riconoscono che l’Informale è importante ma solo perché se ne è parlato tanto, perché ha avuto la ribalta mondiale. Purtroppo l’idea comune però è che sia una pittura facile, gestuale, istintiva, per la quale non è poi necessaria una grande abilità manuale. Insomma, “Importante sì, ma chissà cosa ci trovano”. Nessuno o solo pochi appassionati sono in grado di parlarne con proprietà. A 50 anni di distanza, appare ancora un’Arte sgangherata. Molti pseudo artisti fanno ancora oggi un Informale trito e ritrito e molti collezionisti poco avveduti comprano i loro quadri pensando che ancora vogliano dire qualcosa di importante. Quante volte sentiamo dire: “Ricorda Tizio”, “E’ bello come un Caio”. Ma perché si comprano cose inutili, scopiazzature senz’anima, fatte con 50 anni di ritardo? Eppure…
Da qui vorrei partire per considerare l’impatto che l’Arte degli ultimi 50 anni ha avuto e continua ad avere sul pubblico, preparato e non.

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Bene, ora dopo l’ampio cappello introduttivo (se troppo ampio mi scuso), arrivo a chiedere:
a) L’Arte può davvero essere compresa da tutti?
b) Quanti sono sinceramente convinti che tutta l’Arte è vera e non è un colossale bluff?
Prendendo spunto dalla rapida disamina che ho fatto sopra, possiamo dire che il livello di accettazione e comprensione più diffuso è ancora fermo all’Impressionismo (1860-1880 circa). Arte di 150 anni fa!!!
L’Espressionismo (1905-1914 approssimativamente) viene riconosciuto come una drammatizzazione della realtà attraverso la deformazione delle figure e l’accentuazione dei colori. Pochissimi ne sanno di più. Siamo all’Arte di 100 anni fa e per molti è il limite massimo di accettazione.
Non parliamo dell’Astrazione, teorizzata nel 1910-1911 da Kandinsky. Il comune sentire è ancora lontanissimo dall’averne sdoganato la fondamentale importanza. Siamo per lo più al “non si capisce niente”. A cento anni di distanza!
Il Dadaismo (1916) dal pubblico comune è considerato “un grande imbroglio”. 100 anni non sono bastati perché quest'Arte inusuale possa almeno essere giustificata.
Metafisica e Surrealismo sono più vicini al figurativo quindi già molto più popolari. Ma siccome propongono temi complessi, sono accettati solo superficialmente. Pochi ne conoscono la storia, i temi, i perché. Vengono guardati anche con ammirazione, ma non si sa cosa vogliono dire.
L’informale (anni 50). Oggi ormai tutti riconoscono che l’Informale è importante ma solo perché se ne è parlato tanto, perché ha avuto la ribalta mondiale. Purtroppo l’idea comune però è che sia una pittura facile, gestuale, istintiva, per la quale non è poi necessaria una grande abilità manuale. Insomma, “Importante sì, ma chissà cosa ci trovano”. Nessuno o solo pochi appassionati sono in grado di parlarne con proprietà. A 50 anni di distanza, appare ancora un’Arte sgangherata. Molti pseudo artisti fanno ancora oggi un Informale trito e ritrito e molti collezionisti poco avveduti comprano i loro quadri pensando che ancora vogliano dire qualcosa di importante. Quante volte sentiamo dire: “Ricorda Tizio”, “E’ bello come un Caio”. Ma perché si comprano cose inutili, scopiazzature senz’anima, fatte con 50 anni di ritardo? Eppure…
Da qui vorrei partire per considerare l’impatto che l’Arte degli ultimi 50 anni ha avuto e continua ad avere sul pubblico, preparato e non.

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Molte considerazioni condivisibili. Per me il problema è rappresentato proprio dal ramo del Dadaismo. Se dico che non mi interessa, bestemmio? E l'ho conosciuto anche bene: all'Università ci si lavorò un anno, corso monografico sul Dadaismo. Che dire: capisco molto bene le motivazioni dei dadaisti, in quel contesto storico. Ma per me non portano a gran risultati di valore estetico, se non come effetto secondario.
Il fatto è che pretendo che la mia sensibilità mi porti a capire se l'opera che ho davanti è un lavoro di punta, contemporaneo alle sue esigenze espressive, ovvero invece sia una specie di arte rimasticata, come nel tuo esempio sull'informale. Non voglio "saperlo", devo capirlo da solo, a confronto con l'opera. L'opera deve essere in grado di dirmelo, con la sua qualità. Non voglio che l'oggetto artistico "sia bello" perché fatto allora dall'artista, pezzo storico, dunque, mentre un altro pezzo assolutamente i-d-e-n-t-i-c-o non vale nulla perché fatto dopo, o magari firmato dalla compagna del Maestro.
E' chiaro che faticherò allora ancor di più a recepire l'arte concettuale (senza più oggetto, come dici tu) perché lì non è l'oggetto che parla, ma il pensiero dietro all'oggetto.
Ma non capisco perché possano esistere espressionisti d'accatto, informali d'accatto, e non, o quasi, concettuali d'accatto. Qual è il criterio dirimente?
 
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