Carlo Carrà dal futurismo alla metafisica

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

De Chirico e Carlo Carrà si incontrano nel 1917 in un neurocomio fuori Ferrara, entrambi reduci dal fronte. Fu un sodalizio artistico destinato ad incrinarsi per le diverse e forti personalità, ma che, almeno sino agli anni '20 ha dato buoni frutti, realizzando quella "pittura metafisica" (da una felice definizione di Giovanni Papini) che costituisce un capitolo importante della storia dell'arte italiana del primo ‘900.

Per quanto riguarda Carrà occorre subito chiarire che il suo percorso artistico fu molto vario, complesso e, per alcuni aspetti contraddittorio, anche se la costante definizione plastica dei volumi e la ricerca di una forma ordinata e statica danno una coerenza interna alla sua ricerca.

Per comprendere le contraddizioni e la sintesi conclusiva è necessario cogliere alcune tendenze della sua biografia artistica: allievo di Oreste Tallone all'Accademia di Brera, ammiratore di Previati ha salde radici nella tradizione pittorica lombarda.

Ma nel suo viaggio a Parigi nel 1889 dimostra grande interesse per gli impressionisti, per i neo-impressionisti di Seurat (pointillistes), per Cezanne.

A Londra, invece, studia le statue, i fregi e le metope del Partenone, presso il British Museum, mentre è indifferente nei confronti dei Preraffaeliti, che allora erano molto in voga.
 

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Si nota subito in lui una duplice tendenza: da un lato l'apertura agli stimoli delle novità ben selezionate, dall'altro la fascinazione della tradizione classica più pura.

Poi ci fu l'incontro con Martinetti e il Futurismo.

Non dimentichiamo che Carrà, insieme a Boccioni, Balla, Russolo e Severini fu tra gli estensori e i firmatari del Manifesto della Pittura Futurista e del Manifesto Tecnico del 1910.

In questo momento la distanza tra Carrà e De Chirico è incolmabile.

Tra il 1915 e il 1917 avviene il "passo indietro", l'abbandono del Futurismo e la svolta nella direzione della Pittura Metafisica.

In che senso?
:censored:
 

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Afferma Carrà: "Si era verso la fine del 1915 quando io mi rimisi con rinnovata passione ai problemi estetici inerenti alla trascendenza plastica e le esperienze concrete attraverso l'opera di Paolo Uccello e di Piero della Francesca mi portarono un solido contributo per intendere la spazialità in quanto geometria euclidea". Ed ancora, nel 1919, alla conclusione della Prima Guerra Mondiale così scrive: "Non abbiamo ancora rifatto le ossa e già si riparla di gradi di eliminazione delle forme precedenti e di susseguenti affermazioni di quelle nuove...Ma da questa lotta di anti-tradizionalisti non potrà che nascere la lotta e non quell'armonia che è lo scopo cui tende l'artista vero. Cotesta legge è immutabile".

Ora noi abbiamo le coordinate per meglio intendere l'adesione di Carrà alla pittura metafisica e per cogliere le differenze che lo contraddistinguono da De Chirico.

La sua adesione è connotata da due specificità che segnano anche la diversità: la pittura Metafisica di Carrà è più rivolta al trascendente, non coltiva la tematica dell'enigma, dell'assurdo, è meno articolata in sistemi simbolici criptici, ma si nutre anche di storia e di sottile ironia e si muove fiduciosa in un ordine superiore, alla ricerca degli archetipi, delle idee innate ma come esse si sono incarnate nel solco della storia e della tradizione italiana.
 

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Di qui la novità del guardare indietro con occhi moderni, oppure secondo opinioni accreditate, il limite, la forza frenante di questa rivisitazione che impedisce una rottura col passato e la consapevolezza dei reali problemi dell'arte contemporanea. Ma la riscoperta della classicità rinascimentale avviene per Carrà attraverso la riscoperta della presenza immanente del numero nello spazio. Ovvero: la prospettiva rinascimentale con le sue leggi rigorose dava l'impressione esaltante di potere creare e ricreare a piacimento sulla tela bidimensionale la tridimensionalità allargata dello spazio reale. Carrà, invece, non sottolinea questo aspetto, ma un altro più sottile e sotteso al primo, cioè la valenza magica del numero, il segreto esoterico della verità ultima dei numeri e dei loro rapporti secondo la tradizione pitagorica, confluita, peraltro, nell'Ermetismo e nel Neo-

Platonismo di Marsilio Ficino.

In altre parole Carrà sottolinea il rapporto e la distanza tra gli oggetti e gli elementi nello spazio secondo i presupposti della "proporzione aurea".

Una operazione che annovera illustri precedenti, per esempio Poussin.

Diverso, rispetto a De Chirico, è quindi il rapporto con lo spazio, la storia, le relazioni dentro lo spazio, dove tutto trova collocazione e senso. Ma è uno spazio senza tempo, per quanto ben definito, sospeso in una dimensione congelata.

Di qui la personalissima realizzazione di Carrà nell'ambito della pittura Metafisica.

Il contingente ed il mutevole sono anch'essi sospesi, l'evento è percepibile, ma non si verifica, si attende solo il suo accadimento, rimandato "sine die" come in una sorta di "Deserto dei Tartari" pittorico.

Queste sono le specificità della Metafisica di Carrà che lo porteranno gradualmente ad allontanarsi dai manichini, dai solidi geometrici, dalla simbologia di De Chirico, per privilegiare come tema esclusivo il paesaggio, quello marino della Liguria e della Versilia oppure quello collinare della Garfagnana.
 

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E in questi paesaggi assorti e immobili, riconducibili a figure geometriche armoniosamente collegate, a forme plastiche assolute, ad archetipi investiti dall'ombra e dalla luce secondo una sapiente ripartizione, noi cogliamo l'immobilità del tempo come punto di arrivo dell'eterno ritorno.

"Il tutto di
Francesco Natale:bow::bow::bow:"
 

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Com'è bello parlar d'arte da Trieste in giù, com'è bello farlo sempre con chi hai voglia tu..
 
... che cosa di spettacolare:eek::eek::eek:
 

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Vittorio,
amico Vittorio ....

solo perché mi sei simpatico, ma non potevi trovare una foto più giovane, della Raffa?
:angry::angry::angry::angry:


:D:D:D
 
Bravo Ale, sempre sul pezzo! OK!
 
Mi aggancio a quest'ultimo post per ricordare che ogni forma artistica (arte, letteratura, musica, poesia) di livello elevato richiede molta dedizione e lavoro interiore per essere compresa fino a fondo.
 
Mi aggancio a quest'ultimo post per ricordare che ogni forma artistica (arte, letteratura, musica, poesia) di livello elevato richiede molta dedizione e lavoro interiore per essere compresa fino a fondo.

condivido,

al di là di gusti personali
di fronte a certi "calibri da novanta"
io mi inchino sempre

a prescindere che sia in luoghi così o no:
MoMA | The Collection | Search Results
:bow::bow:
 
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Come osserva giustamente Piero Adorno (in L'arte italiana, Firenze, Casa Editrice G. D'Anna, ):

"Dopo la parentesi futurista Carlo Carrà, giunto a Ferrara nel 1917, si orienta verso la pittura metafisica.
"Non si tratta di una conversione illogica. Se De Chirico organizza le sue figure come volumi entro l'intelaiatura prospettica, così Carrà ha sempre avuto uno spirito costruttivo che lo ha portato, malgrado l'iconoclastica rivolta futurista contro il passato, ad apprezzare la solidità pittorica della grande tradizione artistica italiana (fiorentina in modo particolare) a partire da Giotto. Cercando di risalire dalla realtà concreta alla forma ideale, trova in paolo Uccello e in Piero della Francesca i maestri che gli insegna «come intendere la spazialità in quanto geometria euclidea»; non gli interessa dunque la resa dell'immagine vera, esterna a lui, ma quella dell'«immagine scritta nel cervello» (come dice Baudelaire) o, riprendendo una celebre frase attribuita a Raffaello, quella suggeritagli dall'«idea».
"Si spiega allora facilmente il periodo metafisico come passaggio all'ulteriore fase della sua pittura. La metafisica di Carrà è diversa da quella di De Chirico: simile per le scelte tematiche e per la giustapposizione di oggetti eterogenei, se ne distingue per l'assenza dell'inquietudine e dell'attesa angosciosa. Mentre il colore resta caldo, la luce ferma e le ombre nette sono il mezzo per costruire solidi, razionali volumi in uno spazio chiaramente definito. (…)



A proposito di 'L'ultimo capanno' del 1963, Carrà afferma che:
"... non si può parlare di espressione di sentimenti pittorici senza tener calcolo soprattutto di questi elementi architettonici che subordinano a sé tutti i valori figurativi di forme e colore."
 

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e piuttosto che a De Chirico
preferisco associarlo a Mario Sironi.

Quest'opera intitolate Dioscuri del 1922
fu battuta nel 2005 da Farsetti Arte, Prato per € 840.000 euro
(sì avete ben letto)

ha diverse analogie con quest'altra di Sironi


attendo vostre...
 

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non dire questo amico Aharon,

siamo tutti qui per confrontarci ed il bello sta proprio nella diversità di opinioni.
:):):)
 
Io amo Carrà, possiedo una sua acquaforte e l'ho soprannominato il "mio gioiellino"

Come ho detto oggi, mettendo da parte le vecchie discussioni sulla paternità dechirichiana della metafisica, personalmente preferisco le opere metafisiche di Carrà, tranne in alcune eccezioni (tipo le Piazze d'Italia o le Melanconia di De Chirico che amo follemente)
 
Io invece considero Carrà un minore
(però una sua antologica piena non l'ho ancora vista)
trovo che si arrangia sempre per stare al passo
ma gli manca la forza.
Meno dinamico di Boccioni
meno intenso di De Chirico
meno plastico di Sironi.
Vabbè, uno potrebbe vedere i pregi, e li vedo,
ma ha due peccati:
quello veniale è facile da spiegare: non ha una profonda cultura del colore
però insiste a farne grande uso
quello mortale è meno spiegabile, ma abbastanza intuitivo:
poteva questa pittura avere seguaci, allievi? No.
Carrà chiude le porte, non ne apre nessuna,
pittura sterile
non priva di fascino inizialmente
perché molto comprensibile
ma destinata a non offrire più nulla alla seconda, alla terza lettura ecc.
Così lo vedo io.
Non mi dispiace
ma non mi interessa:
sotto la pittura niente :D
 
Io invece considero Carrà un minore
(però una sua antologica piena non l'ho ancora vista)
trovo che si arrangia sempre per stare al passo
ma gli manca la forza.
Meno dinamico di Boccioni
meno intenso di De Chirico
meno plastico di Sironi.
Vabbè, uno potrebbe vedere i pregi, e li vedo,
ma ha due peccati:
quello veniale è facile da spiegare: non ha una profonda cultura del colore
però insiste a farne grande uso
quello mortale è meno spiegabile, ma abbastanza intuitivo:
poteva questa pittura avere seguaci, allievi? No.
Carrà chiude le porte, non ne apre nessuna,
pittura sterile
non priva di fascino inizialmente
perché molto comprensibile
ma destinata a non offrire più nulla alla seconda, alla terza lettura ecc.
Così lo vedo io.
Non mi dispiace
ma non mi interessa:
sotto la pittura niente :D

Si, è vero, Carrà in effetti è sempre un po' a "rimorchio" di qualcuno, Futurismo, Metafisica, Sironi (Novecento) . Sono d'accordo sul fatto che rispetto ai maestri da te citati è un gradino sotto, ma resta un "minore" di lusso. Ha la capacità di intuire sempre dov'è la novità (e non è poco) e ci si butta a capofitto - è questa per me è una qualità - perché effettivamente fa di tutto per essere sempre al passo con gli altri, oggi diremmo che è un'artista con le antenne. Ma che qualità le opere!!! Bisogna anche dire che dal 1921 in poi il suo tratto diventa inconfondibile a cominciare dal "Pino sul mare", e, secondo me questa è la sua grande eredità, riesce a dare alle sue opere un'atmosfera unica solo sua e di nessun altro.
L'anno scorso, ho visitato l'antologica che gli ha dedicato la Fondazione Ferrero ad Alba, bellissima mostra e bellissime opere. L'unica cosa che nel mio piccolo posso rimproverare a questo grande protagonista del nostro novecento è quella di essere stato un pessimo artigiano nello scegliere i materiali con cui lavorare. Mi spiego meglio, nella mostra di cui sopra il 70% e forse anche più delle opere si presentavano con delle craquelle anche abbastanza estese, e, se pensiamo che sono lavori eseguiti tra i 100 e i 50 anni fa non oso immaginare cosa possa succedere tra altri 50 anni. Le craquelle possono essere dovute al fatto che aveva l'abitudine di tornare sulle opere più e più volte anche a distanza di molto tempo, quindi aggiungendo materia su materia. Ho letto che questo era uno dei suoi modi di lavorare... forse perché cosi riusciva a creare quella particolare atmosfera a discapito della tenuta del colore, chissà?
 

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Le tele di Carrà dal '21 in poi ai miei occhi sono velate da una nostalgica e romantica nostalgia, un "silenzio" che vale più di mille grida, il silenzio è dato dall'armonia estesa delle forme, da quel "Giotto" catapultato nel XX secolo il quale cerca di esprimersi proprio con il "silenzio della drammaticità"
 
Ma che qualità le opere!!! Bisogna anche dire che dal 1921 in poi il suo tratto diventa inconfondibile a cominciare dal "Pino sul mare", e, secondo me questa è la sua grande eredità, riesce a dare alle sue opere un'atmosfera unica solo sua e di nessun altro.

un craquele meraviglioso!!!!
 
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