Cattelan chiude con l'arte

Alessandro Celli

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23/10/09
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Mah, non sarà che abbia colto l'occasione del 1 aprile per far pubblicare questo articolo su "La Repubblica", il Cattelan che ama sorprendere?:confused::confused:
Ma non mi pare proprio .....

"Basta con i miei pupazzi la festa è finita, mi ritiro"
Fonte: dario pappalardo - la repubblica | 01 Aprile 2011

MILANO - Dopo la retrospettiva che il Guggenheim di New York gli dedicherà in ottobre, non ha un singolo appuntamento in agenda. «Mi avevano chiesto altre mostre itineranti a Minneapolis, a Los Angeles e nel Nebraska, ma ho detto di no. Ho bisogno di chiudere un ciclo. Considero finita questa esperienza di lavoro cominciata un ventennio fa. Non realizzo un´opera nuova da due anni». Perché, intanto, l´autore dei fantocci-bambini impiccati, del papa colpito dal meteorite, di Hitler in ginocchio, dello scoiattolo suicida, del dito medio che ancora svetta in piazza Affari, ha deciso di impegnarsi solo in una rivista di fotografia: Toilet Paper. Il secondo numero è stato lanciato a Milano dalla Fondazione Trussardi, con festa in una balera stile anni Settanta e orchestra di liscio. Stanotte, Cattelan e il cofondatore Pierpaolo Ferrari la presentano al Cabaret Voltaire di Zurigo, lo stesso dove è nato il dadaismo. «Lavorare a Toilet Paper mi ha dato una carica che non avevo da molti anni. Non riuscivo a capire come fosse possibile che un magazine mi interessasse più della preparazione di un evento come quello del Guggenheim. Poi la risposta mi è venuta. Devo lasciare». Nancy Spector, la curatrice del Guggenheim, si è stupita più di tutti. «Ma come è possibile che tu voglia farlo? – gli ha detto – Pensavo di ritirarmi prima io». E invece no. Cattelan d´ora in poi preferisce andare in bicicletta lungo il fiume e tornare ad alzarsi senza impegni nel suo appartamento-stanza di Chelsea, dove ci sono: «il materasso dello studente» messo a terra, due sedie e un tavolo. Ma è proprio sicuro di lasciare? «Prima che mi succeda di ripetermi con le mie idee, mi fermo. Se fossi un imprenditore, sarebbe questo il momento buono in cui darmi a una produzione intensificata di opere, ma non mi interessa. Non ho mai inflazionato il mercato, sono i miei lavori che hanno ottenuto sempre tanta visibilità. Eppure non ne ho realizzati più di due all´anno». Perché vuole smettere? «È una presa di distanza da tutto: dal mercato, dalle polemiche. Si tratta di rinegoziare il mio essere all´interno di un sistema e ribadire un´indipendenza che ho sempre cercato». Cos´è che le dà fastidio? «La critica non perdona quando incominci ad avere visibilità, quando vendi, e in realtà lo capisco: dà fastidio anche a me. È una sorta di macchia, alla fine. L´arte mi ha reso libero, mi ha evitato la galera e una vita fatta di espedienti. Col tempo però ti ritrovi con un abito cucito addosso e diventi quello che non vorresti essere». Non le piace essere al centro del mercato? Ma non è una componente essenziale dell´arte contemporanea? «Col mercato ho un rapporto conflittuale. In realtà, tutti, al di là del lavoro che facciamo, siamo soggetti al mercato. Nel mio caso, però, si tratta di un mercato "ormonato", dove comunque non sono gli artisti a far lievitare i prezzi. Quindici anni fa, l´arte contemporanea non era così: oggi, se non sei oggetto di speculazioni economiche, non vieni considerato di qualità. La vera anomalia è questa: il prezzo alto di un´opera è diventato il certificato di qualità. Ma sui dollari c´è scritto "in God we trust", non "in cash". Le case d´asta sono diventate sempre più aggressive, anche a causa della debolezza delle gallerie». Non vuole più essere l´artista delle polemiche? «Io non cerco la polemica di proposito. La polemica può essere un ingrediente, ma nemmeno quello essenziale. L´installazione dei bambini impiccati alla quercia, in piazza XXIV maggio a Milano nel 2004, era un lavoro pessimo dal punto di vista del manufatto, eppure ci fece scoprire la forza della piazza. Il dito medio è una posizione, non una provocazione. Sarebbe bello rimanesse sempre lì, in piazza Affari, dove si presta a più livelli di lettura. Non c´è nessun museo migliore, neppure l´area rinascimentale del Louvre. Per me qualsiasi cosa scateni un cambiamento, una mutazione di sguardo, è arte». Il dito resterà davanti alla Borsa fino a settembre. «Doveva rimanere lì una settimana, poi un mese... ma resiste ancora. Chissà». Quando ha cominciato a considerarsi un artista? «Mi sono sempre considerato un intruso nel mondo dell´arte. All´arte sono arrivato per vie traverse e, allo stesso modo, posso uscirne. Le cose sono cambiate alla fine degli anni Novanta. La nona ora (la scultura iperrealistica che ritrae papa Wojtyla colpito da un meteorite) ha segnato all´esterno la riconoscibilità e all´interno l´accettazione di un ruolo. Ma io non sono mai nato artista. Non so dipingere, né scolpire. Progetto idee e seguo i collaboratori per concretizzarle. Le mie opere le odio tutte in particolare. Non sono legato a loro, ma al processo: al momento che sta tra il desiderio di realizzare un lavoro nuovo e la decisione di farlo davvero. È un attimo impagabile, da non condividere con nessuno». Nemmeno al Guggenheim presenterà un´opera nuova? «La maniera in cui saranno disposti i 120 lavori in mostra sarà l´opera nuova. Cercherò di evitare l´effetto parcheggio. Il Guggenheim è un museo difficilissimo, enorme, perfetto per entrarci con la macchina. Se non fosse per New York e per il fatto che si tratti del Guggenheim, non lo prenderei mai in considerazione». Non le piace l´architettura contemporanea? «Mi piacciono gli architetti con l´ego minuscolo. Quelli che quando disegnano un teatro o un museo lo fanno perché sia funzionale alla musica o all´arte e non per celebrare il loro successo. La Kunsthaus di Bregenz, in Austria, è il modello perfetto. Ma ho un debole per gli spazi "d´annata": il Castello di Rivoli, il Palazzo delle Esposizioni a Roma...». È felice di lasciare? «Sono contentissimo. Mi sento come quel giorno, nell´85 a Padova, quando mi licenziai dall´ospedale in cui facevo l´infermiere. Non so se ho quella stessa energia, ma quell´entusiasmo sì». Ha lavorato in ospedale, anche all´obitorio... «È stato il più silenzioso dei miei lavori e anche il meno drammatico, dentro all´ospedale. Lavoro da 35 anni, ho cominciato a 16. Ora mollo e cambio di nuovo. Magari è un gesto difficile, ma mi fa sentire ancora vivo».
 
mica vorrà andare all'isola dei famosi?

magari fa come paganini
e ripete

e rimane lì per sempre....
 
Complimenti!!

Mah, non sarà che abbia colto l'occasione del 1 aprile per far pubblicare questo articolo su "La Repubblica", il Cattelan che ama sorprendere?:confused::confused:
Ma non mi pare proprio .....

"Basta con i miei pupazzi la festa è finita, mi ritiro"
Fonte: dario pappalardo - la repubblica | 01 Aprile 2011

MILANO - Dopo la retrospettiva che il Guggenheim di New York gli dedicherà in ottobre, non ha un singolo appuntamento in agenda. «Mi avevano chiesto altre mostre itineranti a Minneapolis, a Los Angeles e nel Nebraska, ma ho detto di no. Ho bisogno di chiudere un ciclo. Considero finita questa esperienza di lavoro cominciata un ventennio fa. Non realizzo un´opera nuova da due anni». Perché, intanto, l´autore dei fantocci-bambini impiccati, del papa colpito dal meteorite, di Hitler in ginocchio, dello scoiattolo suicida, del dito medio che ancora svetta in piazza Affari, ha deciso di impegnarsi solo in una rivista di fotografia: Toilet Paper. Il secondo numero è stato lanciato a Milano dalla Fondazione Trussardi, con festa in una balera stile anni Settanta e orchestra di liscio. Stanotte, Cattelan e il cofondatore Pierpaolo Ferrari la presentano al Cabaret Voltaire di Zurigo, lo stesso dove è nato il dadaismo. «Lavorare a Toilet Paper mi ha dato una carica che non avevo da molti anni. Non riuscivo a capire come fosse possibile che un magazine mi interessasse più della preparazione di un evento come quello del Guggenheim. Poi la risposta mi è venuta. Devo lasciare». Nancy Spector, la curatrice del Guggenheim, si è stupita più di tutti. «Ma come è possibile che tu voglia farlo? – gli ha detto – Pensavo di ritirarmi prima io». E invece no. Cattelan d´ora in poi preferisce andare in bicicletta lungo il fiume e tornare ad alzarsi senza impegni nel suo appartamento-stanza di Chelsea, dove ci sono: «il materasso dello studente» messo a terra, due sedie e un tavolo. Ma è proprio sicuro di lasciare? «Prima che mi succeda di ripetermi con le mie idee, mi fermo. Se fossi un imprenditore, sarebbe questo il momento buono in cui darmi a una produzione intensificata di opere, ma non mi interessa. Non ho mai inflazionato il mercato, sono i miei lavori che hanno ottenuto sempre tanta visibilità. Eppure non ne ho realizzati più di due all´anno». Perché vuole smettere? «È una presa di distanza da tutto: dal mercato, dalle polemiche. Si tratta di rinegoziare il mio essere all´interno di un sistema e ribadire un´indipendenza che ho sempre cercato». Cos´è che le dà fastidio? «La critica non perdona quando incominci ad avere visibilità, quando vendi, e in realtà lo capisco: dà fastidio anche a me. È una sorta di macchia, alla fine. L´arte mi ha reso libero, mi ha evitato la galera e una vita fatta di espedienti. Col tempo però ti ritrovi con un abito cucito addosso e diventi quello che non vorresti essere». Non le piace essere al centro del mercato? Ma non è una componente essenziale dell´arte contemporanea? «Col mercato ho un rapporto conflittuale. In realtà, tutti, al di là del lavoro che facciamo, siamo soggetti al mercato. Nel mio caso, però, si tratta di un mercato "ormonato", dove comunque non sono gli artisti a far lievitare i prezzi. Quindici anni fa, l´arte contemporanea non era così: oggi, se non sei oggetto di speculazioni economiche, non vieni considerato di qualità. La vera anomalia è questa: il prezzo alto di un´opera è diventato il certificato di qualità. Ma sui dollari c´è scritto "in God we trust", non "in cash". Le case d´asta sono diventate sempre più aggressive, anche a causa della debolezza delle gallerie». Non vuole più essere l´artista delle polemiche? «Io non cerco la polemica di proposito. La polemica può essere un ingrediente, ma nemmeno quello essenziale. L´installazione dei bambini impiccati alla quercia, in piazza XXIV maggio a Milano nel 2004, era un lavoro pessimo dal punto di vista del manufatto, eppure ci fece scoprire la forza della piazza. Il dito medio è una posizione, non una provocazione. Sarebbe bello rimanesse sempre lì, in piazza Affari, dove si presta a più livelli di lettura. Non c´è nessun museo migliore, neppure l´area rinascimentale del Louvre. Per me qualsiasi cosa scateni un cambiamento, una mutazione di sguardo, è arte». Il dito resterà davanti alla Borsa fino a settembre. «Doveva rimanere lì una settimana, poi un mese... ma resiste ancora. Chissà». Quando ha cominciato a considerarsi un artista? «Mi sono sempre considerato un intruso nel mondo dell´arte. All´arte sono arrivato per vie traverse e, allo stesso modo, posso uscirne. Le cose sono cambiate alla fine degli anni Novanta. La nona ora (la scultura iperrealistica che ritrae papa Wojtyla colpito da un meteorite) ha segnato all´esterno la riconoscibilità e all´interno l´accettazione di un ruolo. Ma io non sono mai nato artista. Non so dipingere, né scolpire. Progetto idee e seguo i collaboratori per concretizzarle. Le mie opere le odio tutte in particolare. Non sono legato a loro, ma al processo: al momento che sta tra il desiderio di realizzare un lavoro nuovo e la decisione di farlo davvero. È un attimo impagabile, da non condividere con nessuno». Nemmeno al Guggenheim presenterà un´opera nuova? «La maniera in cui saranno disposti i 120 lavori in mostra sarà l´opera nuova. Cercherò di evitare l´effetto parcheggio. Il Guggenheim è un museo difficilissimo, enorme, perfetto per entrarci con la macchina. Se non fosse per New York e per il fatto che si tratti del Guggenheim, non lo prenderei mai in considerazione». Non le piace l´architettura contemporanea? «Mi piacciono gli architetti con l´ego minuscolo. Quelli che quando disegnano un teatro o un museo lo fanno perché sia funzionale alla musica o all´arte e non per celebrare il loro successo. La Kunsthaus di Bregenz, in Austria, è il modello perfetto. Ma ho un debole per gli spazi "d´annata": il Castello di Rivoli, il Palazzo delle Esposizioni a Roma...». È felice di lasciare? «Sono contentissimo. Mi sento come quel giorno, nell´85 a Padova, quando mi licenziai dall´ospedale in cui facevo l´infermiere. Non so se ho quella stessa energia, ma quell´entusiasmo sì». Ha lavorato in ospedale, anche all´obitorio... «È stato il più silenzioso dei miei lavori e anche il meno drammatico, dentro all´ospedale. Lavoro da 35 anni, ho cominciato a 16. Ora mollo e cambio di nuovo. Magari è un gesto difficile, ma mi fa sentire ancora vivo».

Beh, se non è un pesce d'Aprile o una provocazione, ma del tutto sincero, gli devo fare i complimenti per la schiettezza il coraggio e la lucidità delle sue analisi che mi trovano quasi completamente d'accordo. Se tutto è vero, proprio grande stavolta.
 
Sempre dalla rete:
"Lo sapevo, dice Bonami:), "me lo aveva già anticipato e trovo sia un atto legittimo. Ci sono un tanti artisti che continuano a lavorare pur non avendo più alcuna idea.

C'è chi lavora all'infinito, ma l'arte è un lavoro come tutti gli altri, e quando non hai più nulla da dire è giusto smettere. Inutile che si faccia l'imitazione di se stesso".
Ma come può essere che l'irriverente Maurizio Cattelan, quello che tra le polemiche, alla fine, è riuscito anche a convincere il sindaco di Milano, Letizia Moratti, a portare il suo gigantesco dito medio davanti a Piazza Affari, a non avere più nulla da dire?
 
Sempre il Bonami:
""Un'idea romantica, ma l'onda può anche finire, e poi forse è solo un prepensionamento, in fondo lui è anche un po' uno sfaticato".
:D:D:D
 
veramente io mi chiedo se abbia mai avuto qualcosa da dire
è un gran bravo copiatore di idee altrui
con un po' di cacio sopra

e la gente ci cacia pure
 
Cattelan chiude con l'arte.

non ha mai iniziato.
 
C'è anche chi la pensa così.....:censored:
Sarebbe l’ora che cattelan andasse in pensione assieme alle sue innocue e datate opere giocattolo che rispondono solo ad una logica di mercato. Occorre liberarci di queste ristrettezze mediocri della cultura dominante, che ci impone le solite vecchie provocazioni di cose affidate alle solite vecchie penne della casta italiana, che non fanno neppure più ridere i polli. Il gioco si è esaurito. Da destra a a sinistra, non si fa che parlare di quotazioni.. Le penne d’oro al servizio del potere economico sovrano, non fanno neppure più lo sforzo di documentarsi sui linguaggi, perpetuano falsità, informazioni ovvie non attinenti . Attendo con ansia il tempo dell’arte in cui l’artista saprà conquistare il cuore della collettività, che non sia solo merce per esofagi viventi. Il tempo in cui l’artista opererà guidato da un incentivo più alto di quello di oggi, che è appunto lo stomaco
 
Sta di fatto che oggi nell'arte contemporanea è tutto un bombardamento di narcisismo, egocentrismo, progetti, informazioni e immagini creative.
Creative?
Ma cosa creano oggi?
Riproducono e rivedono, rielaborano e ripropongono.

La rappresentazione quindi è satura.
E' in crisi.
Svegliatevi artisti, ricomnicate a pensare con la vostra testa, coraggio....
 
fu così che si triplicò il prezzo delle sue opere :D

comunque pensavo fosse uno scherzo ieri
ma non c'è stata la smentita del 2 aprile..bah..
 
fu così che si triplicò il prezzo delle sue opere :D

comunque pensavo fosse uno scherzo ieri
ma non c'è stata la smentita del 2 aprile..bah..

... mmh, secondo me il parlarne non rende la cosa rilevante, il ‘bene male purchè se ne parli’ è un concetto giurassico, che in arte ha già avuto troppi precedenti e non mi pare il Cattelan abbia bisogno di aspettare un primo di aprile per apparire su La Repubblica...:mmmm::mmmm:
 
... mmh, secondo me il parlarne non rende la cosa rilevante, il ‘bene male purchè se ne parli’ è un concetto giurassico, che in arte ha già avuto troppi precedenti e non mi pare il Cattelan abbia bisogno di aspettare un primo di aprile per apparire su La Repubblica...:mmmm::mmmm:

no infatti non dico quello..a lui il ritorno di immagine serve ben poco
ma se davvero non dovesse più produrre nessun'opera come sostiene
i pezzi che a prodotto in passato diventeranno più unici che rari
 
A dirti la verità, cara Francesca, stavo riflettendo proprio su questo.
E pensavo.... allora, Cattelan nasce nel 1960 e smette di produrre a 51 anni (buon per lui).

Poi considero che Emilio Vedova nacque nel 1919 e smise di produrre poco prima di andarsene, nel 2006, ossia a 87 anni.

Forse è un pensiero assurdo e strampalato il mio, ma mi chiedo se Vedova avesse smesso a 51 anni, (cioè nel 1970) che sarebbe poi successo al suo mercato?
Non è la medesima cosa quando un artista che scompare di scena e un artista che scompare per passare a miglior vita.
Temo che il mercato queste situazioni le consideri, eccome.. io la leggerei come "una bolla di sapone" ...
 
Non è la medesima cosa quando un artista che scompare di scena e un artista che scompare per passare a miglior vita.

Non lo so..forse sono ancora troppo inesperta :rolleyes: ma alla fine è come se fosse morto..nella scena artistica ma è morto, no?
sappiamo quanto quotava da sotheby's e Phillips quest'anno..staremo a vedere le prossime..
(ad ogni modo se aumenta il prezzo o no su quelle cifre mi sa che non lo sentirà neanche :()
 
Speriamo non ritorni mai.
Secondo me Cattelan è un furbacchione sensa senso e assai sgradevole (artisticamente)
Paolo
 
Da una intervista del 1 settembre 2001 - Max

"Io non mi prendo sul serio, questa è la mia forma di difesa. Ho sempre odiato lavorare e ora che finalmente ho trovato una cosa che mi piace mi costringono a fare l’impiegato dell’arte: devo andare di qua, di là; mi invitano, mi vogliono intervistare… Nella mia vita ho fatto di tutto: la donna delle pulizie, il postino, il becchino, il giardiniere, il cuoco, il contabile, il disoccupato, perfino il donatore di sperma, a Verona. Ora mi inseguono tutti e rimango stupefatto, perché io sono sempre lo stesso idi..ta di prima".
 
Bè, fossi in lui sarei riconoscente al mondo dell'arte, come a chi lo ha "costretto" ad andare "avanti e indietro" per interviste, mostre e affini. Non credo che, ora come ora, la sua scelta di cambiamento lo conduca nuovamente a fare il il becchino o il giardiniere!
 
C'è anche chi la pensa così.....:censored:
Sarebbe l’ora che cattelan andasse in pensione assieme alle sue innocue e datate opere giocattolo che rispondono solo ad una logica di mercato. Occorre liberarci di queste ristrettezze mediocri della cultura dominante, che ci impone le solite vecchie provocazioni di cose affidate alle solite vecchie penne della casta italiana, che non fanno neppure più ridere i polli. Il gioco si è esaurito. Da destra a a sinistra, non si fa che parlare di quotazioni.. Le penne d’oro al servizio del potere economico sovrano, non fanno neppure più lo sforzo di documentarsi sui linguaggi, perpetuano falsità, informazioni ovvie non attinenti . Attendo con ansia il tempo dell’arte in cui l’artista saprà conquistare il cuore della collettività, che non sia solo merce per esofagi viventi. Il tempo in cui l’artista opererà guidato da un incentivo più alto di quello di oggi, che è appunto lo stomaco

:clap::clap::clap:
 
Sta di fatto che oggi nell'arte contemporanea è tutto un bombardamento di narcisismo, egocentrismo, progetti, informazioni e immagini creative.
Creative?
Ma cosa creano oggi?
Riproducono e rivedono, rielaborano e ripropongono.

La rappresentazione quindi è satura.
E' in crisi.
Svegliatevi artisti, ricomnicate a pensare con la vostra testa, coraggio....

:clap::clap::clap:
 
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