Sgarbi come critico d'arte... Che ne pensate?

reef

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Alberto Sughi e Vittorio Sgarbi

Un po' di cibo per la mente, spero non avariato... ;)
http://www.albertosughi.com/f_archive_testi_online/53_vaccari_02.htm

Volevo riportare il testo qui per comodità, ma...
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Splendido dialogo!

Che compendia molto bene lo stato dell'odierna arte, non solo pittura.

D'altronde tra persone intelligenti non possono che uscire riflessioni intelligenti e Vittorio Sgarbi, simpatia o antipatia che possa suscitare, quanto a conoscitore e critico d'arte ha ben pochi uguali.

Ringrazio Reef di averlo postato.
 
Cosa ne pensate di Sgarbi come critico d'arte? :confused:
 
molto sopravvalutato ...


come tutti i critici , più criticano aspramente e più diventan famosi ..autoalimentandosi in una spirale senza fine :D

lui poi ormai è uno show man più che un critico ...
 
molto sopravvalutato ...


come tutti i critici , più criticano aspramente e più diventan famosi ..autoalimentandosi in una spirale senza fine :D

lui poi ormai è uno show man più che un critico ...

in Italia la gente conosce principalmente lui...
proprio per questo ho chiesto...
chi possiamo ritenere il miglior critico d'arte italiano?
si può annoverare lui tra i migliori? :confused:
altri nomi?
 
Ultima modifica:
Se la domanda è: come critico d'arte,

Vittorio Sgarbi è uno dei più colti, approfonditi, sagaci studiosi e conoscitori d'arte internazionale.

Se invece si parla di show-business, di simpatia o altro, penso che ciò esuli dall'interesse di questa particolare sezione.
 
Se la domanda è: come critico d'arte,

Vittorio Sgarbi è uno dei più colti, approfonditi, sagaci studiosi e conoscitori d'arte internazionale.

Se invece si parla di show-business, di simpatia o altro, penso che ciò esuli dall'interesse di questa particolare sezione.

Concordo con il giudizio di microalfa aggiungo che se Sgarbi si fosse limitato a fare il critico d'arte e non il tuttologo sarebbe meno famoso ma ancor più apprezzato per l'unica sua vera e profonda conoscenza: l'arte
 
se la domanda è: come critico d'arte,

vittorio sgarbi è uno dei più colti, approfonditi, sagaci studiosi e conoscitori d'arte internazionale.

Se invece si parla di show-business, di simpatia o altro, penso che ciò esuli dall'interesse di questa particolare sezione.

a me sgarbi è pure simpatico...
Ripropongo il fantastico video proposto da unodeitanti. E' troppo esilerante!!:d:d
http://www.finanzaonline.com/forum/showpost.php?p=20950614&postcount=217

ok!
 
Concordo in pieno con quanto affermato da Micro.
Sgarbi come critico d'arte non si discute.
Si può discuterlo per tutto il resto e anche per la "vena affaristica" che lo contraddistingue ma le capacità e la cultura non gli mancano di sicuro.
Bisogna aggiungere che Sgrabi è valido come critico d'arte antica mentre sull' Arte Contemporanea è, secondo me, molto più scarso.
Ma questo è normale...ognuno ha le sue passioni e specializzazioni...;)
 
Arte perduta, non ripetiamo il Belice

di Vittorio Sgarbi - 8.4.2009

Preliminarmente, ho indicato al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che nei suoi sopralluoghi ha detto di aver visto cadute «case vecchie» e «molto vecchie», una necessità: ai luoghi feriti, ai paesi distrutti, alle famiglie senza casa non si può strappare anche la memoria.

E niente è più pericoloso di una ricostruzione che cancelli l’identità dei luoghi, lacerati, feriti, depauperati. Proprio in quei paesi vicino a L’Aquila la tradizione architettonica è legata a un mondo pastorale e contadino che è tanto povero quanto vero.
E ricostruire edifici anonimi, come periferie urbane, può servire temporaneamente, provvisoriamente, per le necessità della emergenza. Ma negli anni che seguiranno bisogna evitare di ripetere l’errore che è stato compiuto nella valle del Belice, in Sicilia, dove io sono sindaco, in paesi come Salemi, Gibellina, Poggioreale, Santa Margherita Belice.

Necessità pratiche, deliri di architetti hanno imposto soluzioni irrazionali creando città fantasma. E leggi sbagliate hanno consentito demolizioni per ricostruzioni con pretestuose norme antisismiche. Il risultato è che, nel Belice, dopo quarant’anni, il terremoto non è finito. Ancora si abbattono edifici per ottenere finanziamenti e costruire orrori. Edifici abbandonati si alternano così ad altri ricostruiti dalle fondamenta con un effetto di degrado e di incompiutezza insostenibile. A Poggioreale la città nuova è talmente estranea nella sua caricaturale ispirazione col barocco romano che i cittadini ti indirizzano verso la città abbandonata in rovina oltre e dopo i danni del terremoto.

Non so se sarà possibile ricostruire Castelnuovo, Onna, Paganica, ma so che gli edifici monumentali saranno sicuramente ripristinati e l’edilizia minore, considerata «vecchia», spazzata via. Eppure rispetto al modello del Belice, una soluzione ci sarebbe. Perché, tra i luoghi colpiti dal terremoto, c’è Santo Stefano di Sessanio, uno dei borghi più belli d’Italia e che, negli ultimi cinque anni, era stato sottoposto a un recupero integrale di straordinaria saggezza, ripristinando case e palazzi con le cubature, i materiali, le tecniche originali, e pur provvedendo a una tecnologia sofisticata e antisismica. Il risultato è che, fra tanta catastrofe, Santo Stefano, in tutti gli edifici restaurati, è rimasta intatta, ed è crollata soltanto la Torre civica.

Ora i paesi distrutti dal terremoto sono in uno stato non diverso dall’abbandono in cui Daniele Kihlgren e l’architetto Lelio Di Zio trovarono Santo Stefano di Sessanio; ed è molto importante che dopo avere garantito alloggi agli sfollati si immagini un loro ritorno in quei piccoli borghi senza lasciarli in abbandono e senza sfigurarli. L’edilizia minore, a Navelli, a San Pio delle Camere, a Tornimparte è così preziosa che richiede più attenzione e amore delle architetture monumentali. Per questo sarebbe fondamentale che il presidente del Consiglio e il sottosegretario Guido Bertolaso si avvalessero dell’esperienza di Kihlgren e di Di Zio, affidando loro il delicato intervento di recupero delle aree terremotate, secondo i principi sperimentati a Santo Stefano di Sessanio.

Occorre scongiurare ciò che è avvenuto in Irpinia e nel Belice; occorre non disperdere lo spirito dei luoghi; occorre non cancellare le tracce di una cultura antica con le ruspe. È difficile ma richiede amore e attenzione come quelli che si avrebbero per persone indifese, per bambini e, appunto, per vecchi. Ma in quelle pietre c’è la memoria dell’Abruzzo e c’è un’antica civiltà che si rischia di perdere per sempre. È necessario che le reliquie siano preservate e non è una questione di feticismo.

Venga il presidente del Consiglio a Salemi e veda il danno di una ricostruzione incolta e affrettata, veda come sarà difficile ridare ordine a ciò che è stato fatto senza intelligenza e passione e soprattutto senza rispetto. Veda la meraviglia di ciò che resta, di ciò che è stato difeso e l’orrore di ciò che è stato ricostruito. Ha la sensibilità per capire e per condividere. E vada a Santo Stefano di Sessanio per trovare il modello e il riferimento cui ispirarsi per la ricostruzione proprio in un luogo colpito dal terremoto. Non potrà non apprezzare la differenza e capire la necessità di non scegliere soluzioni comode e affrettate. In nome dello spirito dei luoghi.

Questa mattina, intervistato dal giornale radio, davo queste indicazioni e suggerivo queste proposte. La giornalista sembrava condividere i miei pensieri, preoccupata dei rischi che, sulla base dell’esperienza, annunciavo. Quando ho parlato di Santo Stefano di Sessanio, convinto che non ne conoscesse l’esistenza e riferendomi alla grande attenzione per quel luogo testimoniata dalla stampa internazionale, dopo un attimo di silenzio compiaciuto, mi ha risposto: «Pensi che avevo prenotato per trascorrere i giorni di Pasqua a Santo Stefano». Un segnale, una sensibilità. Oggi sarò in Abruzzo per capire se la situazione può lasciare spazio alla speranza.
 
Arte perduta, non ripetiamo il Belice

di Vittorio Sgarbi - 8.4.2009

Preliminarmente, ho indicato al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che nei suoi sopralluoghi ha detto di aver visto cadute «case vecchie» e «molto vecchie», una necessità: ai luoghi feriti, ai paesi distrutti, alle famiglie senza casa non si può strappare anche la memoria.

E niente è più pericoloso di una ricostruzione che cancelli l’identità dei luoghi, lacerati, feriti, depauperati. Proprio in quei paesi vicino a L’Aquila la tradizione architettonica è legata a un mondo pastorale e contadino che è tanto povero quanto vero.
E ricostruire edifici anonimi, come periferie urbane, può servire temporaneamente, provvisoriamente, per le necessità della emergenza. Ma negli anni che seguiranno bisogna evitare di ripetere l’errore che è stato compiuto nella valle del Belice, in Sicilia, dove io sono sindaco, in paesi come Salemi, Gibellina, Poggioreale, Santa Margherita Belice.

Necessità pratiche, deliri di architetti hanno imposto soluzioni irrazionali creando città fantasma. E leggi sbagliate hanno consentito demolizioni per ricostruzioni con pretestuose norme antisismiche. Il risultato è che, nel Belice, dopo quarant’anni, il terremoto non è finito. Ancora si abbattono edifici per ottenere finanziamenti e costruire orrori. Edifici abbandonati si alternano così ad altri ricostruiti dalle fondamenta con un effetto di degrado e di incompiutezza insostenibile. A Poggioreale la città nuova è talmente estranea nella sua caricaturale ispirazione col barocco romano che i cittadini ti indirizzano verso la città abbandonata in rovina oltre e dopo i danni del terremoto.

Non so se sarà possibile ricostruire Castelnuovo, Onna, Paganica, ma so che gli edifici monumentali saranno sicuramente ripristinati e l’edilizia minore, considerata «vecchia», spazzata via. Eppure rispetto al modello del Belice, una soluzione ci sarebbe. Perché, tra i luoghi colpiti dal terremoto, c’è Santo Stefano di Sessanio, uno dei borghi più belli d’Italia e che, negli ultimi cinque anni, era stato sottoposto a un recupero integrale di straordinaria saggezza, ripristinando case e palazzi con le cubature, i materiali, le tecniche originali, e pur provvedendo a una tecnologia sofisticata e antisismica. Il risultato è che, fra tanta catastrofe, Santo Stefano, in tutti gli edifici restaurati, è rimasta intatta, ed è crollata soltanto la Torre civica.

Ora i paesi distrutti dal terremoto sono in uno stato non diverso dall’abbandono in cui Daniele Kihlgren e l’architetto Lelio Di Zio trovarono Santo Stefano di Sessanio; ed è molto importante che dopo avere garantito alloggi agli sfollati si immagini un loro ritorno in quei piccoli borghi senza lasciarli in abbandono e senza sfigurarli. L’edilizia minore, a Navelli, a San Pio delle Camere, a Tornimparte è così preziosa che richiede più attenzione e amore delle architetture monumentali. Per questo sarebbe fondamentale che il presidente del Consiglio e il sottosegretario Guido Bertolaso si avvalessero dell’esperienza di Kihlgren e di Di Zio, affidando loro il delicato intervento di recupero delle aree terremotate, secondo i principi sperimentati a Santo Stefano di Sessanio.

Occorre scongiurare ciò che è avvenuto in Irpinia e nel Belice; occorre non disperdere lo spirito dei luoghi; occorre non cancellare le tracce di una cultura antica con le ruspe. È difficile ma richiede amore e attenzione come quelli che si avrebbero per persone indifese, per bambini e, appunto, per vecchi. Ma in quelle pietre c’è la memoria dell’Abruzzo e c’è un’antica civiltà che si rischia di perdere per sempre. È necessario che le reliquie siano preservate e non è una questione di feticismo.

Venga il presidente del Consiglio a Salemi e veda il danno di una ricostruzione incolta e affrettata, veda come sarà difficile ridare ordine a ciò che è stato fatto senza intelligenza e passione e soprattutto senza rispetto. Veda la meraviglia di ciò che resta, di ciò che è stato difeso e l’orrore di ciò che è stato ricostruito. Ha la sensibilità per capire e per condividere. E vada a Santo Stefano di Sessanio per trovare il modello e il riferimento cui ispirarsi per la ricostruzione proprio in un luogo colpito dal terremoto. Non potrà non apprezzare la differenza e capire la necessità di non scegliere soluzioni comode e affrettate. In nome dello spirito dei luoghi.

Questa mattina, intervistato dal giornale radio, davo queste indicazioni e suggerivo queste proposte. La giornalista sembrava condividere i miei pensieri, preoccupata dei rischi che, sulla base dell’esperienza, annunciavo. Quando ho parlato di Santo Stefano di Sessanio, convinto che non ne conoscesse l’esistenza e riferendomi alla grande attenzione per quel luogo testimoniata dalla stampa internazionale, dopo un attimo di silenzio compiaciuto, mi ha risposto: «Pensi che avevo prenotato per trascorrere i giorni di Pasqua a Santo Stefano». Un segnale, una sensibilità. Oggi sarò in Abruzzo per capire se la situazione può lasciare spazio alla speranza.

Mario La Ferla TE LA DO IO BRASILIA La ricostruzione incompiuta di Gibellina nel racconto di un giornalista-detective




COLLANA: Eretica
pp. 168
PREZZO: 10,00
ISBN: 88-7226-833-8


Il 15 giugno 1968 il terremoto sconvolge la Valle del Belice. Mentre la ricostruzione parte tardi e male, si afferma l’idea di ricostruire Gibellina 18 km più in basso rispetto al paese distrutto dal sisma. La città deve essere speciale, nuova, capitale dell’arte moderna, altro che paese rifatto su misura
di quelli antichi. Così la gente del Belice – invece di acqua, luce, strade, scuole e centri sociali e culturali – vede sorgere edifici scandinavi, boulevard parigini, chiese stile islamico e una infinità di monumenti-opere d’arte. A distanza di tanti anni, dopo enormi investimenti, Gibellina è una città incompiuta, soprattutto invivibile, simbolo dell’intera Valle del Belice, dell’intera fatiscente ricostruzione.
 
L’Aquila tornerà a volare, ma i borghi sono a rischio

di Vittorio Sgarbi

Spettacolo doloroso a Paganica, la città più vicina a L’Aquila, anzi sua estensione, con il bel palazzo sede staccata del Comune capoluogo che è rimasto intatto. Uno scenario spettrale. La città che vidi animata con l’entusiasmo di amici festosi nei bar della piazza, nelle case ben restaurate, camminando per le strade, di chiesa in chiesa, è deserta. Disperato, attonito, l’affettuoso, disponibile maresciallo dei carabinieri Facchini, che non crede ai suoi occhi. «Vittorio, è terribile. È tutto crollato. E anche Santa Giusta» dove andammo a trovare, ad ora tarda, il parroco cecoslovacco che voleva suggerimenti sugli intonaci e sulle panche.

Nella larga piazza di Paganica la barocca chiesa della Concezione sembra sfinita. Ha ceduto. La facciata è staccata dal corpo circolare dell’edificio ed è crollata la parte superiore del prospetto, il timpano. Le case reggono, svuotate, inanimate, senza luce, diventate scenografia per un film che non sappiamo quando si inizierà a girare. Quando si stabilirà che è possibile riabitare le case lesionate, se mai sarà.
Qualche segnale di conforto viene da una delle chiese più belle, San Giusto, vicino al cimitero. Sta benissimo, mostra soltanto, all’esterno, una piccola crepa sull’affresco della facciata.

Da Paganica mi avvio per verificare le indicazioni del maresciallo Facchini a Bazzano, il piccolo borgo esaltato da una delle più belle chiese romaniche d’Italia, Santa Giusta, con la partitura di colonne su quattro ordini nella facciata. Un edificio memorabile la cui struttura sembrava predisposta a resistere. E invece la bella facciata si è scostata di dieci gradi, ed è crollata la sezione sopra il rosone. Si potrà recuperare, ma è una ferita grave a un monumento importante.
Il parroco ha ora nuovi problemi dopo aver sistemato la cripta come un antiquarium. Il rischio di crolli non ci consente di verificare se non abbia avuto danni la bella urna di San Giusto.

Proseguendo sulla strada provinciale conforta ritrovare intatta la Madonna di Appari, il santuario incastonato nelle rocce che lo hanno protetto. Terribile lo spettacolo del piccolo paese di Castelnuovo, vicino a San Pio delle Camere. L’intero paese è sconvolto, e rasa al suolo è la chiesa barocca con i capitelli dorati nella polvere. In piedi è rimasta la sagrestia con i mobili di legno intarsiati.
Lo stato del paese invoca una ricostruzione, non l’abbandono e la morte. Si sente la forza delle pietre antiche che attendono di essere messe in fila e rimontate, come accaduto a Gemona, a Venzone, in Friuli. Non sono case vecchie, finite, ma testimonianze di vita perduta, di antichi, solidi valori.
Sono preoccupato per Bominaco, il paese reso eminente dalle due chiese interamente affrescate, tra le più straordinarie testimonianze del passaggio tra la cultura bizantina e quella romanica. Non ne ho notizie, ma mi arrivano messaggi rassicuranti. Le chiese sono integre. Soltanto nell’oratorio basso di Santa Maria, su un’arcata di circa dieci metri è caduta una porzione di intonaco di una ventina di centimetri. Le chiese sono chiuse, ma c’è da credere che gli affreschi non siano stati lesionati.

Chiamo il parroco di Assergi, uno straordinario giovane della Guinea spagnola, costretto ora a vegliare per l’agitazione della terra, ma che, quando andai a trovarlo la settimana scorsa, già dormiva alle 20,45, perché non sapeva che fare in un paese in cui tutto, allo scendere della sera, si fermava. Ho bussato a lungo, l’ho svegliato. Mi ha aperto in pigiama, felice e commosso di mostrarmi la sua bella chiesa con affreschi quattrocenteschi e cinquecenteschi di grande qualità, incredulo per quella visita improvvisa.
Mi ha descritto le bellezze della sua terra remota, quasi a tutti sconosciuta. Ora mi dice che la sua chiesa bellissima e tutto il paese di Assergi non hanno patito danni. Si sente privilegiato. Ma patisce la catastrofe che è intorno a lui.

Non riesco a raggiungere (lo farò nei prossimi giorni) il bellissimo paese di Tornimparte. Sono preoccupato per la chiesa di San Panfilo, dove vi sono i più begli affreschi del Rinascimento in Abruzzo, opera di Saturnino Gatti. Everett Fahy e Peter Russell, illustri studiosi, non esitano ad accostarli alla Cappella Sistina. Già ieri ho detto del miracolo di Santo Stefano di Sessanio, poco lontano dall’epicentro del terremoto, ma che è rimasto tutto integro dopo i sapienti restauri, pietra su pietra, di Daniele Kihlgren e Lelio Di Zio. Oggi apprendo che la Torre civica crollata è stata schiacciata da una piattaforma di cemento armato troppo pesante, conseguenza di un restauro sbagliato e che va scongiurato nelle aree della ricostruzione.

Santo Stefano deve essere inteso come il modello e l’esempio della ricostruzione, indicando dopo la passione la resurrezione. Della città dell’Aquila sappiamo tutto. Abbiamo visto le immagini della televisione anche dall’alto come non sarebbe stato possibile prima della catastrofe. Ma per L’Aquila non temo, non vi saranno sorprese. La chiesa di San Bernardino, la basilica di Santa Maria di Collemaggio, la chiesa delle Anime e dei Santi di cui abbiamo visto la cupola crollata in più tempi, saranno ricostruite come consente l’architettura, che è disegno, e come è stato per tutti i simboli crollati e abbattuti all’infuori della Torre di Pavia.

Pensiamo a Venezia al campanile di San Marco, pensiamo al teatro La Fenice, pensiamo al Petruzzelli e ai tanti simboli dell’architettura italiana ricostruiti dopo guerre e terremoti. Anche a Sant’Agostino e a San Marco, dove si vede la parete laterale che si stacca, sono certo gli interventi saranno di assoluto rigore. La città risorgerà.
Sono preoccupato per i piccoli paesi, per Fossa, per Onna, che rischieranno di essere abbandonati, di essere rovina e memoria della morte. Occorrerà, per queste testimonianze di architettura minore, chiedere molta attenzione e pietà come per persone ferite a quanti avranno la responsabilità della ricostruzione, a partire dal presidente del Consiglio che non dovrà creare paesi artificiali, togliendo l’anima ai luoghi più belli, e oggi disperati, dell’Abruzzo. Vada a Santo Stefano. Veda. E torni con la passione per la vita e con l’impegno per la difesa doverosa, necessaria, ostinata della memoria.
 
Quando fa lo storico (suo vero ruolo per cui ha sempre dimostrato una valenza più che fuori dal comune) è sopra l'ottimo.
Il problema è che si ricorda di far lo storico solo quando ha da piazzare qualcosa con Telemarket... per tutto il resto, aria più fritta delle alette di pollo fritte.
 
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