Alerian Midstream Energy MMLP IE00BKPTXQ89 Invesco MLPD ETF IE00B8CJW150

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Che ne pensate? ancora troppo presto per aprire posizioni?
 
Etfs Us Energy Infrastr Mlp Go Ucits Etf - Borsa Italiana

Master Limited Partnership ??? Che roba è? Gasdotti e oleodotti?


La scommessa sulla rivoluzione energetica americana - FondiOnLine.it


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Che ne pensate? ancora troppo presto per aprire posizioni?


Dopo i ribassi in scia del calo del prezzo del petrolio greggio i prezzi sono nuovamente interessanti.
Dentro da Venerdi , con il IE00BHZKHS06 e IE00B8CJW150 (in sovrappeso).
Gli analisti prevedono i dividendi in aumento per i prossimi tre anni (anche con le quotazioni del petrolio basse).




Jan 16, 2015
An Energy Veteran Sees Value In MLPs As Oil Slides
By Michael Aneiro



It’s no secret that the plunging price of oil has hit a lot of energy-company stocks pretty hard, but it takes a pretty bold investor to go shopping for bargains at this point when there could easily be more losses ahead. The Wall Street Journal‘s Tom Lauricella caught up with Roger Young, a 69-year-old portfolio manager at Miller Howard Investments who’s been picking energy stocks for over four decades, through all sorts of market ups and downs. Young says there will likely be more bad news ahead for energy companies, but he says certain master-limited partnerships should be able to provide long-term value to investors. From the Journal’s story today:

Among the top MLP investments for Miller Howard are Enterprise Product Partners (EPD), which returned 13.4% including dividends in 2014, Energy Transfer Equity (ETE), which returned 44.7%, and Magellan Midstream Partners (MMP), which returned 34.8%, according to the firm.

But MLPs haven’t escaped the recent carnage as investors have worried that lower oil prices will lead drillers to cut back on production. Some investors also worry that high-yielding MLPs could suffer along with bonds should the Federal Reserve move quicker than expected to raise interest rates. The Alerian MLP index is down 7.1% over the past three months through Thursday.

Still, Mr. Young sees MLPs as a way to invest without having to rely on “if you build it, they will come” business models popular elsewhere throughout the energy exploration, production and services sector. Because transporters are paid based on volume, they can benefit from a drop in oil prices as lower prices at the pump lead to greater demand for gasoline.

“You have a backlog of projects that are either just being completed or just started construction, all with contracts,” he says. As a result, he said, thanks to those projects coming online and planned production increases for gas and oil, even if no new projects were started, “you would have growth of distributions for the next three years.”

Young tells the Journal he expects to see more dividend increases from MLPs, saying several MLPs have announced dividend hikes even amid the oil selloff.
 
Occhio che le aziende di estrazione shale gas e oil, stanno fallendo ogni giorno.

Bisogna discriminare gli Etf infrastrutture tradizionali (gasdotti, trivelle, ecc) , che potrebbero anche rimbalzare e dare buoni dividendi, da quelli con infrastrutture shale.

Voi cosa consigliare esattamente?
 
Occhio che le aziende di estrazione shale gas e oil, stanno fallendo ogni giorno.

Bisogna discriminare gli Etf infrastrutture tradizionali (gasdotti, trivelle, ecc) , che potrebbero anche rimbalzare e dare buoni dividendi, da quelli con infrastrutture shale.

Voi cosa consigliare esattamente?

Qual'è la fonte della notizia dei fallimenti?

Io ho avuto informazioni precise circa l'ottima salute del settore shale sui cui gli USA stanno puntando moltissimo. Tenendo comunque presente che l'aumento delle quotazioni delle aziende di questo segmento va avanti ormai da anni.
 
Qual'è la fonte della notizia dei fallimenti?

Io ho avuto informazioni precise circa l'ottima salute del settore shale sui cui gli USA stanno puntando moltissimo. Tenendo comunque presente che l'aumento delle quotazioni delle aziende di questo segmento va avanti ormai da anni.


sono allibito dalla tua risposta, non perchè dubiti della tua parola , ma perchè a me risulta il contrario, avevo letto anche un articolo dettagliato al riguardo. se lo trovo lo posto
 
Qual'è la fonte della notizia dei fallimenti?

Io ho avuto informazioni precise circa l'ottima salute del settore shale sui cui gli USA stanno puntando moltissimo. Tenendo comunque presente che l'aumento delle quotazioni delle aziende di questo segmento va avanti ormai da anni.


Concordo, settore in pieno sviluppo e ricavi stabili.
I prezzi dovrebbero restare stabilmente sotto 55 dollari anche nel 2016 prima che le compagnie Usa vadano in sofferenza.





Il prezzo del petrolio scende sotto i $50 al barile, previsioni dimezzate per il 2015
Pubblicato il 12 gennaio 2015


Il prezzo del petrolio scende ancora sotto la soglia dei 50 dollari al barile e Goldman Sachs dimezza le sue previsioni a breve termine, stimando quotazioni a 40 dollari per la metà dell'anno.

Il trend negativo per l’oro nero dovrebbe proseguire, se è vero che la banca d’affari americana Goldman Sachs ha aggiornato al ribasso le sue stime per entrambi i tipi di greggio a 3, 6 e 12 mesi.

In particolare, da qui ai prossimi tre mesi, il Wti dovrebbe scendere a 41 dollari e il Brent a 42 dollari al barile. Nelle stime precedenti, Goldman Sachs prevedeva rispettivamente per la fine del primo trimestre un prezzo di 70 e 80 dollari. Taglio delle previsioni anche per i 6 e 12 mesi: il Wti dovrebbe quotare alla fine della metà dell’anno a 39 dollari, mentre il Brent a 43 dollari, dai 75 e 85 dollari precedentemente previsti per i due tipi di greggio.

Infine, il Wti si attesterebbe a 65 dollari tra un anno e il Brent a 70 dollari. Nelle stime precedenti, i livelli attesi erano rispettivamente di 80 e 90 dollari al barile.

Dunque, secondo gli analisti della banca, il surplus dell’offerta, che il Qatar ha stimato in 2 milioni di barili al giorno, non sarà riequilibrato nel breve termine da un taglio della produzione dei paesi dell’OPEC, inizialmente atteso per la prima metà dell’anno. I membri dell’Organizzazione, che produce il 40% del greggio mondiale immesso sul mercato, hanno ripetuto per ben 12 volte in questi mesi che non taglieranno l’output, segnalando l’indisponibilità, in particolare, dell’Arabia Saudita, a cedere quote di mercato. L’OPEC ha mantenuto invariato l’obiettivo di una produzione complessiva di 30 milioni di barili al giorno, all’ultimo vertice del 27 novembre, ma a dicembre ha estratto mediamente 30,24 milioni di barili quotidianamente.

Grazie ai forti margini, le compagnie petrolifere americane sconteranno il loro “shale oil” e aumenteranno le esportazioni, rispondendo così all’eccesso di offerta. Sempre secondo gli analisti, affinché gli USA taglino gli investimenti nel settore in modo credibile nel segnalare un nuovo ribilanciamento del mercato petrolifero, sarebbe necessario che le quotazioni scenderebbero l’anno prossimo stabilmente sotto i 65 dollari al barile, in zona 55 dollari.

In conseguenza di queste previsioni, il gap tra Brent e Wti si allargherà dagli 1,67 dollari di oggi fino ai 5 dollari tra un anno.
 
E ancora (articolo di Dicembre):



Crisi del petrolio, ecco perché la guerra dei prezzi dell’OPEC contro gli USA è persa
Pubblicato il 2 dicembre 2014, ore 10:24.


La battaglia lanciata dall'Arabia Saudita contro gli USA potrebbe essere persa in partenza, perché diverse compagnie americane si sarebbero già tutelate dai ribassi dei prezzi con contratti derivati. E i costi dello "shale oil" potrebbero rivelarsi inferiori alle stime.




Cinque giorni fa, la riunione dell’OPEC a Vienna è andata come da previsioni. L’Organizzazione, composta da 12 paesi produttori di petrolio, responsabili del 40% della produzione mondiale e che ha complessivamente venduto sul mercato 30,56 milioni di barili al giorno a novembre, non è riuscita a trovare un accordo per tagliare l’offerta, nonostante le quotazioni siano crollate di oltre il 40% dai picchi di giugno.

L’Arabia Saudita ha guidato il fronte dei contrari al taglio, sostenendo che il mercato dovrà stabilizzarsi da solo. Non si tratta di una svolta pro-mercato di Riad, quanto della sua volontà di affrontare la battaglia dei prezzi contro gli USA, evitando di concedere all’America ulteriori fette di mercato. I sauditi sono ancora memori di quanto avvenne a metà degli anni Ottanta, quando la discesa delle quotazioni petrolifere li spinse a tagliare la produzione di due terzi, salvo assistere a un crollo dei prezzi fin sotto i 10 dollari al barile, perché gli altri paesi continuarono ad estrarre petrolio senza sosta. La mossa si risolse allora, quindi, in una perdita di quota di mercato.


Negli ultimi anni, gli USA si stanno imponendo in misura crescente sul mercato petrolifero mondiale e alcuni dati lasciano a bocca aperta. Dal 2006 ad oggi, le importazioni di petrolio degli americani sono diminuite di 8,7 milioni di barili al giorno, sostanzialmente l’equivalente di quanto riescano ad esportare quotidianamente l’Arabia Saudita e la Nigeria messe insieme. Le importazioni da Riad sono state quasi azzerate.

E solo nel 2011, l’America mostrava un deficit commerciale di 354 miliardi di dollari con riguardo a gas e petrolio. Stando a Citigroup, questo deficit sarà azzerato entro il 2018 ed è probabile che dal 2019, ossia tra poco più di 4 anni, se non prima, gli USA saranno esportatori netti di petrolio.

Si capisce, quindi, perché nessuno dentro l’OPEC voglia cedere sul taglio della produzione. La loro idea sarebbe questa: stringiamo i denti per un pò. I prezzi continueranno a scendere, ma a quel punto gli USA avranno minore convenienza a estrarre nuovo “shale oil” e dovranno tagliare la loro produzione e gli investimenti, perdendo quote di mercato.


Questa linea di pensiero si basa sulla convinzione che la produzione di petrolio “shale” sia più costosa di quella del greggio dell’OPEC. Non solo potrebbe rivelarsi una stima falsa, ma bisogna fare i conti col fatto che diverse compagnie petrolifere americane si siano già protette contro il rischio di un ribasso delle quotazioni, attingendo al mercato dei derivati. Noble Energy e Devon Energy sono apposto fino a settembre dell’anno prossimo, quali che saranno i prezzi di mercato. Pioneer si è coperta fino al 2016, salvaguardando i due terzi della sua produzione. McKenzie ha annunciato che non avrà problemi, addirittura, fin quando il prezzo del greggio non scenderà sotto i 28 dollari al barile, mentre le estrazioni nel Nord Dakota saranno remunerative almeno fino a 42 dollari al barile per l’International Energy Agency.



Vero è che mediamente si aggira sui 70-80 dollari al barile il costo totale di estrazione di un barile di greggio USA, ma questo è comprensivo del costo infrastrutturale e ambientale, mentre la produzione aggiuntiva di un barile si attesterebbe sui 30 dollari. In sostanza, l’OPEC potrebbe avere fatto male i conti e rischierebbe grossissimo.


Anche perché, se gli USA potrebbero risentire alla lunga dei ribassi, alcuni membri dell’Organizzazione potrebbero a quel punto essere già collassati finanziariamente e politicamente. Il Venezuela avrebbe bisogno di quotazioni almeno a 161 dollari al barile per mantenere in equilibrio i suoi conti pubblici, lo Yemen a 160, l’Algeria a 132, l’Iran a 131, la Nigeria a 126, il Bahrein a 125, l’Iraq a 111, la Russia a 105 e l’Arabia Saudita a 98.

Se davvero tutte le compagnie americane si sono tutelate con contratti “hedge” fino ai prossimi 3 trimestri almeno, la crisi petrolifera si riverserà totalmente sui paesi dell’OPEC, che potrebbero vedersi costretti a tagliare la produzione al prossimo vertice di giugno, avendo già subito almeno 9 mesi di sofferenze, con la prospettiva di viverne ancora altri, prima che il mercato tornerà a riequilibrarsi, cosa che avverrebbe, a quel punto, a discapito delle loro quote di mercato.
 
Sondaggio Bloomberg :
secondo il 58% degli analisti, l'OPEC taglierà la produzione prima dei produttori di Shale Oil (al massimo nella seconda metà dell'anno) perdendo la battaglia ......



OPEC Will Blink First in Battle With Shale Drillers, Poll Shows
By Boris Korby Jan 22, 2015


U.S. shale drillers won’t scale back output quickly enough for OPEC to avoid production cuts this year, according to a quarterly poll of Bloomberg subscribers.

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Forty-nine percent of analysts, traders and investors surveyed said the Organization of Petroleum Exporting Countries will have to lower its production target this year, while 34 percent said shale drillers will lower output in time. Seventeen percent weren’t sure.

Fifty-eight percent of respondents who said OPEC will cut its production target expect it to happen in the second half of the year, compared to 34 percent who see it happening before the end of June. The poll of 481 investors, analysts and traders who are Bloomberg subscribers was conducted Jan. 14-15 by Selzer & Co., a Des Moines, Iowa-based firm. It has a margin of error of plus or minus 4.5 percentage points.

To contact the reporter on this story: Boris Korby in New York at bkorby1@bloomberg.net

To contact the editors responsible for this story: Nikolaj Gammeltoft at ngammeltoft@bloomberg.net David Papadopoulos
 
FRIDAY, JANUARY 23, 2015

Is It Time to Invest in Energy Stocks?

By Dan Strumpf

The sharp fall in oil prices has wreaked havoc on shares of energy companies, leaving investors to decide whether now is the time to go bargain hunting.

U.S. crude prices have fallen by more than half since June, trading at a six-year low of around $45 a barrel. For motorists filling up their tanks with sub-$2 gasoline, that has been a cause for celebration. But for investors in the energy sector, it has been a calamity.

The S&P 500 Energy index, comprising the industry's largest companies, lost more than a fifth of its value over the six months through Thursday, the biggest decline of any of the 10 major sectors, according to FactSet. The broader S&P 500, by contrast, rose 4%.

The pain has been worse for shares of smaller producers, many of which took on loads of debt to finance new drilling. A barometer of small energy companies, the S&P SmallCap 600 Energy index, has swooned 47% in the past six months.

Experts warn that the wild swings in energy stocks could continue for some time. While blue-chip names like Exxon Mobil have offered energy investors some insulation from volatile oil prices, producers and service companies are more vulnerable to the tumult--but have more to gain should oil prices stage a rebound.

Investors essentially have two ways to play the energy market: for stability and income, assuming the oil price stays at current levels or even dips more, and for growth, assuming a price rebound will come sooner rather than later.

Here's what you need to know.

Income and Stability

Investors thinking about getting into the sector should have a stomach for volatility and an eye for the long run.

Experts agree that oil prices will rise out of their doldrums eventually, but how long until a rebound takes place is a matter of fierce debate. This month, analysts at Bank of America said they expect U.S. oil prices to fall to $32 a barrel by the end of March before climbing to $57 by the end of the year.

"You can't look at the sector and think you're going to be lucky enough to time the bottom," says Russ Koesterich, chief investment strategist at BlackRock, which manages $4.65 trillion. "You have to be thinking about it for the longer term, realizing you may see the stocks down 10% or 15% before they bottom."

The upheaval has sent many pros seeking shelter in integrated oil companies--blue-chip energy firms that control the wells that draw crude from the ground and the refineries that turn it into fuel. They owe their stability to their diverse business mix and rock-solid balance sheets.

Oil production is likely to keep growing, despite the decline in prices, thanks to advances such as hydraulic fracturing, or fracking. Earlier this month, the International Energy Agency said it expects nearly one million barrels a day of extra oil to be pumped around the world in 2015. Global economic growth, meanwhile, remains sluggish, damping growth in demand.

Shares of Exxon Mobil are down just 10% in the past six months. Fellow Dow Jones Industrial Average component Chevron is off 18%--no picnic, but better than many rivals.

"They are less of a pure play on oil," Mr. Koesterich says. "Relative to the rest of the sector, the correlation between the integrated [companies] and the oil price is much less."

Steady dividends are an added benefit. The oil industry has seen downturns in the past, but neither Exxon nor Chevron, for example, has cut its dividend in decades. In a cash pinch, both would have plenty of room to curb share buybacks first, says Lysle Brinker, director of equity research at consultancy IHS Energy.

The dividend is "the only reason, for some investors, why they own these stocks," Mr. Brinker says.

Investors with an appetite for energy stocks, but not for stock-picking, have plenty of options among exchange-traded funds and actively managed mutual funds.

The biggest energy-focused ETF is the $11 billion Energy Select Sector SPDR Fund, which tracks energy companies in the S&P 500. The fund charges annual fees of 0.16%, or $16 per $10,000 invested.

Among mutual funds, the $10.1 billion Vanguard Energy Fund has weathered the downturn in oil prices better than its competitors, according to investment researcher Morningstar.

It has lost 25% in the past six months, compared with a 29% drop among all energy funds. The fund charges annual fees of 0.38%.

The Vanguard fund's relatively heavy tilt toward integrated energy companies and its lighter weighting of more beaten-down corners of the sector has helped its performance, Morningstar analyst Kevin McDevitt says.

"You're getting the commodity exposure, you're getting the energy exposure, but you're not getting all the volatility that comes with it," he says.

Another option: the $3.6 billion T. Rowe Price New Era Fund, which invests in the energy industry as well as miners and other resource producers. It weathered the crude downturn by boosting its holdings of integrated oil companies beginning last summer, Mr. McDevitt says.

Over the past six months, the fund has lost 19%, compared with a 22% slide for the broader category of natural-resources funds. It charges an annual fee of 0.66%.

Master Limited Partnerships

Another popular energy bet for income-hungry investors has been master limited partnerships, the pipeline and storage firms that earn their keep transporting and storing oil and natural gas.

MLPs pay most of their earnings to shareholders, a draw for income-starved buyers. And since they focus on storing and moving products, MLPs are seen as more insulated from turbulent prices.

The Alerian MLP index, a barometer of the industry, yields 6.16%, compared with less than 2% on 10-year government debt. But the index has lost 14% of its value over the past six months, making MLPs far from immune to oil's tumble.

"A lot of people have gone out and said [MLPs] are uncorrelated to oil prices, but that's simply not true," says Richard Bernstein, head of the $3.4 billion firm Richard Bernstein Advisors in New York.

As long as U.S. energy demand holds up, oil will continue to flow through the pipes and MLPs will remain a good investment, says Simon Lack, founder of investment-advisory SL Advisors in Westfield, N.J. Indeed, fuel demand is on the rise over the past year, according to the Energy Information Administration.

"The biggest fear for MLP investors is demand destruction, and we're in the complete antithesis of that," Mr. Lack says. "If anything, lower energy prices are going to result in more demand, not less."

But MLPs could see more pain if their oil-company customers start demanding lower prices, Mr. Bernstein says.

Investors have an array of options when it comes to MLP funds, including the $9.1 billion Alerian MLP ETF. Another popular option: the $5.6 billion JPMorgan Alerian MLP Index exchange-traded note. Both charge annual fees of 0.85%.

Investing for a Rebound

If giant oil companies and MLPs are partly insulated from oil's tumble, they also are less likely to climb as quickly should crude stage a big rebound, experts say.

With U.S. output still rising and the global economy in low gear, that rally still could be a long way off.

But that doesn't mean prices will stay under $50 forever. When and if they rebound, exploration-and-production, or E&P, companies will likely be among the first to benefit.

To date, they have been among the hardest hit. A widely tracked gauge of E&P stocks, the S&P 500 Oil & Gas E&P index, has fallen 28% in the past six months.

"Nobody is making money at the $45-a-barrel level," says Norman MacDonald, portfolio manager of the $991 million Invesco Energy Fund.

But that means supply has to decline and prices will rebound eventually. "It's a very self-correcting mechanism," he says.

The cost of producing oil varies widely from place to place, even in North America, where wells are newer and production costs typically higher. Among Mr. MacDonald's biggest holdings are Devon Energy, Canadian Natural Resources and Ultra Petroleum. All are producers concentrated in North America but with relatively lower costs of production.

"If oil stays at $55, $60 a barrel, they will survive," he says.

John Dowd, who runs the $2 billion Fidelity Select Energy Portfolio, says he is paying closer attention to the quality of the underlying company assets when deciding when to buy, instead of focusing on traditional valuation metrics such as price/earnings ratios--in large part because both prices and earnings are in such upheaval, he says.

"You want to buy an energy stock when the outlook is dark and dreary, and right now it's pouring," he says.

One temptation investors should avoid, experts say, is betting on the price of oil directly, which can be done via oil futures contracts or ETFs that invest in them, such as the $1.4 billion United States Oil Fund, which charges annual expenses of 0.76%.

The concern: Oil-futures contracts expire monthly, requiring investors to roll into the subsequent month's contract on a regular basis. This process can take a big bite out of returns when the longer-term contract is more expensive than the expiring contract, as is the case now.

At current prices, that penalty amounts to a 12% erosion of annual returns, according to John Gabriel, a strategist at Morningstar.

"For an individual investor, I would never really recommend getting involved with the commodity itself, because it's kind of the Wild West," says David Kelly, chief global strategist at J.P. Morgan Asset Management.

Playing the Field

An E&P-heavy bet can be played with the $1.4 billion SPDR S&P Oil & Gas Exploration & Production ETF, which charges an annual fee of 0.35%. Another option is the $445 million iShares U.S. Oil & Gas Exploration & Production ETF, which levies a 0.43% annual charge.

When oil producers are feeling the pinch of cheaper crude, one of the first things they do is cut their spending. That translates to lean times for oil-field service providers such as Schlumberger, Baker Hughes and Halliburton--the firms that lease the drills, blast open the wells and service the equipment that makes the oil flow.

The S&P 500 Oil & Gas Equipment & Services index has plunged 32% over the past six months. Analysts at Barclays say capital expenditures by energy companies are set to fall 9% this year, the first spending drop in six years.

But like exploration-and-production firms, service companies stand to gain from a rally in oil.

"A more aggressive investor that thinks there's going to be a rebound would probably go with the service providers and the equipment providers, because those guys have been hit the hardest but stand to rebound the most," Morningstar's Mr. Gabriel says.

Mark Dawson, chief investment officer at Seattle-based Rainier Investment Management, says he cut his holdings of energy stocks as they rose and fell last year. Today, the percentage of investments the $6.7 billion firm allocates to energy is in the mid- to low-single digits, he says.

But one stock the firm has held on to is Schlumberger, because of the service giant's global footprint and strong assets. "Any stabilization in the energy market, this would be at the top of the list to either add to or build back up," he says.

Fund investors can make a concentrated bet on oil services with the $1 billion Market Vectors Oil Services ETF, which charges an annual fee of 0.35%.

Write to Dan Strumpf at daniel.strumpf@wsj.co
 
Il settore MLP resta uno dei migliori nell'ambito dei dividendi azionari. Ma con le opportune cautele:

E' un momento di difficoltà per le piccole società che effettuano la produzione di shale perchè mediamente hanno costi intorno a 40-50 dollari al barile e quindi non ci sono grandi margini. Mentre vanno benino quelle che distribuiscono e basta ma sono comunque legate ai consumi di petrolio e gas .
L'indice comprende entrambe le tipologie , quindi sarebbe opportuno attendere un rialzo del greggio stabile sopra i 55 dollari al barile.

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Petrolio, sulle compagnie la spada di Damocle delle riserve
di Sissi Bellomo 2 aprile 2015


Aprile sarà un mese cruciale per le compagnie petrolifere, i cui bilanci - benché già sofferenti - non hanno ancora evidenziato appieno i danni provocati dal crollo del barile. Presto i nodi cominceranno a venire al pettine e il fattore scatenante saranno le riserve petrolifere.

Il patrimonio più prezioso delle società estrattive, quello da cui dipende la loro stessa sopravvivenza, fino a poco tempo fa ha preservato bene il suo valore: benché il greggio abbia cominciato fin dall’estate scorsa la discesa che l’ha portato da oltre 100 a meno di 50 dollari al barile, le compagnie quotate negli Stati Uniti - e molte altre - nel quarto trimestre 2014 hanno ancora potuto valutare le loro riserve quasi 90 $/bbl. Il miracolo è frutto del meccanismo di valorizzazione prescritto dalla Sec, l’autorità di mercato statunitense, che prevede che si utilizzi la media delle quotazioni del Wti resgistrate nel primo giorno di contrattazione di ciascuno dei dodici mesi precedenti. Applicando la stessa regola, alla fine del primo trimestre 2015 il risultato è ben diverso: la media è 79,42 $, oltre il 10% in meno rispetto agli 88,46 $ di fine 2014.

Per le compagnie saranno dolori. È probabile che il deprezzamento delle riserve imporrà ulteriori pesanti svalutazioni nei prossimi bilanci trimestrali, che saranno pubblicati tra aprile e maggio. In prospettiva inoltre non sarà solo il valore, ma l’entità stessa delle riserve: il concetto di “riserva provata” si riferisce infatti alla quantità di petrolio o gas che prevedibilmente verrà estratto nei prossimi 5 anni alle attuali condizioni della tecnologia e del mercato. Se il petrolio vale poco, le riserve più costose da estrarre usciranno dalla categoria “provate”, l’unica che conta in bilancio.

Il declino delle riserve, che già affligge le majors a causa dei risultati deludenti delle attività di esplorazione, rischia insomma di aggravarsi: le Big Five (Bp, Chevron, ExxonMobil, Royal Dutch Shell e Total) l’anno scorso hanno visto calare le riserve di idrocarburi da 80 a 78,6 miliardi di barili equivalenti petrolio, la contrazione più forte  almeno dal 2008, e il tasso di sostituzione delle riserve - che si esauriscono man mano che petrolio e gas vengono estratti - è sceso all’84%, il minimo dal 2010.

I problemi più gravi riguardano comunque non tanto le major, quanto le piccole, indebitatissime compagnie dello shale oil americano, che le riserve le hanno anche ipotecate per ottenere finanziamenti. Nuovi writeoff rischiano di ucciderle: l’anno scorso ne hanno già fatti per 45 miliardi di dollari, calcola Evaluate Energy, che ha analizzato 80 “small cap” Usa del settore, e per qualcuna il valore complessivo degli asset si è già ridotto di oltre il 15 per cento. Adesso le banche stanno per stringere i cordoni della borsa: proprio in aprile è previsto l’aggiornamento semestrale delle condizioni di finanziamento e secondo fonti Bloomberg le linee di credito saranno tagliate fino al 30% rispetto a ottobre (quando le riserve valevano addirittura 99 $/bbl secondo le regole Sec).

In vista di questa scadenza molte società - già con rating a livelli “spazzatura” per l’alto rischio di insolvenza - hanno cercato di raccogliere denaro con nuove emissioni di obbligazioni oppure, più spesso, con una ricapitalizzazione: nel primo trimestre 29 compagnie Usa hanno emesso nuove azioni per 13,9 miliardi di dollari, stima Thomson Reuters, un record da 15 anni per questo periodo dell’anno. Tra queste c’è Whiting Petroleum, che non è riuscita a trovare un acquirente.

Non tutti i “frackers” riusciranno a sopravvivere. Sabine Oil & Gas martedì ha già detto che le banche le hanno negato l’estensione delle linee di credito ed è rimasta con appena 327 milioni di $ in cassa. Samson Resources, controllata dal gigante del private equity Kkr, ha appena fatto ricorso al Chapter 11, equivalente alla nostra amministrazione controllata, seguendo la strada tracciata solo nell’ultimo mese da Quicksilver Resources, Bpz Resorurces e Dune Energy. In Canada ieri ha aperto una procedura fallimentare Laricina Energy, attiva nelle sabbie bituminose.
 
Il settore MLP resta uno dei migliori nell'ambito dei dividendi azionari. Ma con le opportune cautele:

E' un momento di difficoltà per le piccole società che effettuano la produzione di shale perchè mediamente hanno costi intorno a 40-50 dollari al barile e quindi non ci sono grandi margini. Mentre vanno benino quelle che distribuiscono e basta ma sono comunque legate ai consumi di petrolio e gas .
L'indice comprende entrambe le tipologie , quindi sarebbe opportuno attendere un rialzo del greggio stabile sopra i 55 dollari al barile.

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Col petrolio adesso stabile sopra i 60 usd e con la previsione Opec di mantenimento di prezzo medio nella fascia 60-70 per i prossimi tre anni, ho deciso di alzare la mia detenzione dal 10% al 30% di ptp sul Source che secondo me viene gestito meglio dell' Etfs.

Con una stima di cambio eur/usd a 1,20 (max apprezzamento possibile in attesa del rialzo dei tassi...),
il Source rende un lordo del 6,38% e l'Etfs del 4,27%.



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Petrolio, Opec in trincea di fronte alla sfida di «United Shale of America»
di Sissi Bellomo - 5 giugno 2015


Difficile dire se l’Opec abbia davvero perso ogni influenza sul mercato del petrolio. Di certo, almeno per il momento, ha passato la mano. A guidare le danze sono oggi gli Usa, intesi come United Shale of America, gli Stati Uniti dello shale oil, potenza petrolifera che è venuta a far sfoggio di sé proprio a casa dei concorrenti: all’Opec Seminar, convegno triennale che si è concluso ieri a Vienna, alla vigilia del vertice dell’Organizzazione.

«Lo shale è qui per restarci», ha proclamato Ryan Lance, ceo di ConocoPhillips, che nella precedente edizione del convegno era stato guardato con sufficienza dalla platea quando aveva messo in guardia dal sottostimare il fenomeno. Era nel giugno 2012, praticamente ieri, ma da allora gli Usa - proprio grazie allo shale - hanno aumentato l’estrazione di greggio di oltre 3 milioni di barili al giorno, ricollocandosi tra i maggiori produttori mondiali con ben 9,6 mbg. In barba alle norme in vigore - che tuttora non consentono al greggio made in Usa di varcare i confini - Washington sta aumentando il suo peso anche come esportatore: lo scorso aprile ha venduto all’estero 586.379 bg secondo dati appena pubblicati dal Census Bureau, un record dal 1920. Si tratta di una quantità superiore a quella di alcuni Paesi dell’Opec, come la Libia e l’Ecuador, che nello stesso mese non hanno superato 350mila bg, o il Qatar, che esporta circa mezzo milione di bg.

«Penso che gli Stati Uniti dovranno considerare attentamente l’ipotesi di togliere il bando di esportazione», ha detto Lance, dopo che pochi giorni fa al Senato Usa è stato presentato un disegno di legge che punta a superare un divieto che risale agli shock petroliferi degli anni ’70. «Nei prossimi due anni dai nostri giacimenti di petrolio non convenzionale arriverà un eccesso di petrolio di qualità che il sistema di raffinazione Usa, così com’è configurato oggi, non sarà in grado di utilizzare».

L’ipotesi di una frenata dello shale oil il ceo di Conoco non la contempla proprio.«La strategia dell’Opec di far lavorare il mercato ci sta bene. Il sistema sopravviveva col barile a 100 $, sopravvive anche a 50-60 $. E c’è ancora spazio per migliorare, competendo con qualsiasi altro progetto estrattivo nel mondo». I progressi tecnologici e di efficientamento sono stati enormi, spiega Lance: il breakeven, ossia la soglia di redditività dello shale oil, si è abbassata del 15-30% solo nell’ultimo anno e «nelle aree migliori si riesce ad avere un ritorno del 10% sul capitale investito anche con il petrolio a 40 $».

Una sfida alla quale persino l’Arabia Saudita fatica a rispondere. Chiacchierando con i giornalisti (e non replicando formalmente a Lance) il ministro Ali al-Naimi ha spiegato a quali condizioni Riad tornerebbe a investire in nuova capacità estrattiva: «Potete garantirmi che ci sia domanda per il greggio saudita? Se ci metto un dollaro, mi garantite che quel dollaro mi restituirà il 10%? Non voglio il 16%, mi basta il 10%. Ma potete garantirmelo?».

La domanda petrolifera sta migliorando, hanno affermato più volte in questi giorni i ministri dell’Opec (e non solo loro). Ma è evidente che i consumi non stanno riguadagnando una forza tale da rassicurare che non ci sarà più bisogno di combattere per le quote di mercato. Anche per questo, al vertice di oggi l’Organizzazione ha deciso di proseguire con la politica adottata a novembre e di lasciare il tetto produttivo fermo a 30 mbg.

«Giorno dopo giorno siamo sempre più a nostro agio con questa decisione - ha affermato ieri il ministro degli Emirati arabi uniti, Mohammed al-Mazruei -. Penso che la strategia abbia funzionato molto bene. Abbiamo visto segni incoraggianti di domanda nelle maggiori economie e l’eccesso di petrolio ha iniziato a ridursi in modo significativo».

La Banca mondiale è scettica: «Il prezzo del greggio dovrebbe restare sui livelli attuali per 3-5 anni - ha affermato Paulo de Sa, Practice manager dell’istituzione -. Ai Paesi produttori consigliamo per prudenza di redigere i bilanci statali considerando un prezzo di 60 piuttosto che 75 $, come oggi molti fanno».

Tra i partecipanti all’Opec Seminar, tuttavia, è opinione (o forse auspicio) diffuso che sul mercato del petrolio i fondamentali stiano migliorando. Ma non certo perché i “frackers” siano alla resa. La resistenza dello shale oil di fronte al crollo del prezzo del barile ha sorpreso persino i veterani del settore, costringendo tutta l’industria petrolifera - dalle grandi major, eredi delle Sette sorelle, ai colossi statali dell’Opec - a un difficile processo di adattamento: una «transizione che sarà profonda ma lenta», avverte Ben Van Beurden, ceo di Royal Dutch Shell, e non priva di rischi, perché oggi gli investimenti delle major stanno crollando, ma per soddisfare l’accresciuto fabbisogno di petrolio tra qualche anno non ci basterà più solo lo shale oil.
 
Oggi ho preso anke io il Source, rende di piu' , ma solo un primo lotto d' ingresso.
 
Io credo molto nell'apprezzamento di questo ETF (ed infatti ha perso il 10% in meno di un mese :wall: :D ) e come regola sto incrementando ad ogni stacco di dividendo e quindi anche oggi ho preso qualche quota.
A fine anno vedro' se rimodulare questo approccio...
 
Adesso e' il momento giusto.......

MLP Selloff Could Be An Opportunity, Jefferies Analyst Says
By*Wayne Duggan 21 hours ago


According to a new report by Jefferies analyst Christopher Sighinolfi, master limited partnership (MLP) investors shouldn’t be fretting over the recent slump in prices. In the report, Sighinolfi discusses Jefferies' latest commodity price projections and names the firm's top MLP picks.

Commodity Prices

Despite the lingering global oil oversupply conditions, crude oil prices have rallied more than 40 percent since January lows. In response, Jefferies recently raised its WTI crude price forecast for Q2, Q3 and Q4 2015 to $60, $54 and $58 per barrel, respectively.

In addition, Jefferies is lowering its outlook for NGL prices slightly and is now projecting $0.49/gal for 2015, $0.59/gal for 2016, $0.71/gal for 2017 and $0.78/gal for 2018.

When it comes to natural gas, Jefferies' latest projections through 2018 are $2.90/MMBtu for 2015, $3.25/MMBtu for 2016, $3.50/MMBtu for 2017 and $3.50/MMBtu for 2018.

Puzzling Propane

Propane’s “violent” price movement so far in 2015 has been surprising to Jefferies analysts because the supply and demand conditions for propane are mostly in-line with prior expectations.

“We continue to expect a combination of 1) higher y/y petchem demand, 2) ~125 MBbld of new PDH capacity, 3)~360 MBbld of new LPG export capacity, 4) crop drying, and 5) winter heating load to tighten inventories and strengthen prices in 2H,” Sighinolfi explained.

Jefferies is projecting that propane will reach a price of $0.60/gal by the end of the year.
 
Sul cambio siamo in una botte di ferro, nuove previsioni Goldman Sach a 0,80 eur/usd entro il 2017.
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Goldman Sachs, previsioni euro-dollaro: quota 0.95 in 12 mesi, rialzo dei tassi Fed a dicembre
in Analisi Forex di Flavia Provenzani | 19 Giugno 2015 - 13:46


Goldman Sachs pubblica le previsioni dei suoi analisti sul cambio euro-dollaro: quota 0.95 in 12 mesi e a 0.80 entro la fine del 2017.
Rialzo dei tassi di interesse della Fed a dicembre.



La crisi del debito in Grecia, con tutti i suoi alti e bassi, sta certamente muovendo i mercati.
Tuttavia, gli analisti di Goldman Sachs, avvertono di seguire i fondamentali e non il trambusto e la confusione sul mercato del forex; questa visione implica un forte movimento ribassista sul cambio euro-dollaro EURUSD.

Ecco le previsioni degli analisti di Goldman Sachs sull’euro-dollaro e il prossimo rialzo dei tassi ad opera della Federal Reserve.

A seguito della riunione del FOMC, Goldman Sachs ha modificato la previsione sulla tempistica per il primo aumento dei tassi della Fed, ora concentrata sul mese di dicembre.

Da lì, gli analisti di Goldman si aspettano che il FOMC alzi i tassi di 100 punti base all’anno, con il target di riferimento sui Fed Funds che raggiumgerà quota 1,25-1,50% alla fine del 2016 e 2,25-2,50% alla fine del 2017.

«Il rafforzamento dei dati economici e l’aumento dei prezzi degli asset, a nostro avviso, porteranno il mercato a rivedere la valutazione sul piano di rialzo dei tassi sul medio profilo del FOMC, fissaggio verso il profilo medio del FOMC, ossia ricostituendo qualche premio per il rischio,» sostiene Goldman Sachs.

Stando così le previsioni, Goldman Sachs mantiene l’aspettativa ribassista sull’euro-dollaro, sostenendo che, nonostante il recente rialzo, i fondamentali spingeranno in basso il cambio EURUSD in linea con le previsioni a lungo termine degli analisti di Goldman.

La nostra previsione ribassista sull’euro-dollaro si basa sui fondamentali.

Il nostro punto di vista è che la «crisi della crescita» nell’Eurozona significa che l’inflazione sarà più lenta, in linea con le previsioni del nostro team europeo che mostrano l’inflazione tornare verso il target molto lentamente.

Il motivo è che le riforme strutturali sul mercato del lavoro e della produzione potranno mantenere bassa l’inflazione.

L’eurozona non ha un mercato del lavoro unificato e armonico tra i vari paesi.

Tali condizioni ci rendono fiduciosi che sulla nostra previsione a lungo termine circa il trend ribassista sul cambio euro-dollaro.
 
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