Bill Gross lascia Pimco per Janus

Chi, Gianni o Enrico ?
 
Avevo letto anche io delle indagini della SEC. Curioso che dopo pochi giorni abbia lasciato "volontariamente" PIMCO :eek:
 
e pare che anche Russiabond sia nel mirino...
 
Avevo proprio capito che l'annuncio l'aveva fatto un Letta su Reuters. Ultimamente nessuno dei due ha granche da fare.
 
Che se ne fa Janus, di un gestore in declino come Bill Gross?

Janus ha
Janus Capital Funds plc - Flexible Income Fund A USD Acc
che ha fornito performance simili a quelle di
PIMCO Funds: Global Investors Series plc Total Return Bond Fund E Acc USD

Janus Capital Funds plc - Flexible Income Fund A ...|IE0004445783

PIMCO Funds: Global Investors Series plc Total Re...|IE00B11XZ988


Sarà anche in declino, ma, visto il tracollo di Allianz, sono in tanti a non pensarla così
 
in pratica è stato cacciato, ed è pure indagato?? :eek: ma ha fatto cose strane alla Madoff con il fondo che gestiva o cosa?
 
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - New York, 26 set - Cominciano a emergere maggiori dettagli sull'uscita di scena a sorpresa di Bill Gross, che lascera' con effetto immediato Pimco, il fondo che lui stesso ha creato. Secondo indiscrezioni riportate dall'emittente televisiva Cnbc Gross ha preferito giocare d'anticipo, dal momento che stava per essere licenziato "a causa del suo comportamento sempre piu' inaffidabile". Nella nota diffusa dalla societa' l'amministratore delegato di Pimco Douglas Hodge ha parlato di forti divergenze tra la leadership della societa' e Bill Gross. Proprio i dissapori con Gross lo scorso gennaio avevano convinto ad andarsene l'amministratore delegato Mohamed El-Erian, che secondo le fonti sentite non ha intenzione di tornare sui suoi passi e assumere un incarico dirigenziale da Pimco.

Notizie Radiocor - Finanza - Borsa Italiana

Bill Gross lascia Pimco, passerà a Janus Capital - America 24

Bill Gross lascia Pimco per Janus Capital - Repubblica.it
 
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - New York, 26 set - Cominciano a emergere maggiori dettagli sull'uscita di scena a sorpresa di Bill Gross, che lascera' con effetto immediato Pimco, il fondo che lui stesso ha creato. Secondo indiscrezioni riportate dall'emittente televisiva Cnbc Gross ha preferito giocare d'anticipo, dal momento che stava per essere licenziato "a causa del suo comportamento sempre piu' inaffidabile". Nella nota diffusa dalla societa' l'amministratore delegato di Pimco Douglas Hodge ha parlato di forti divergenze tra la leadership della societa' e Bill Gross. Proprio i dissapori con Gross lo scorso gennaio avevano convinto ad andarsene l'amministratore delegato Mohamed El-Erian, che secondo le fonti sentite non ha intenzione di tornare sui suoi passi e assumere un incarico dirigenziale da Pimco.

Notizie Radiocor - Finanza - Borsa Italiana

Bill Gross lascia Pimco, passerà a Janus Capital - America 24

Bill Gross lascia Pimco per Janus Capital - Repubblica.it

El Erian... questo?? :mmmm:

http://www.finanzaonline.com/forum/arena-politica/1632265-le-piccole-cose-della-vita.html
 
Bill Gross, i consigli di ottobre

Il noto gestore e la sua view sul mese appena iniziato.

01/10/2015 Giacomo Nero
Ottobre, mese da tenere d'occhio, finanziariamente parlando. A darci una mano ci pensa il celeberrimo gestore Bill Gross. Ecco la sua view tratta dall'Investment Outlook di Janus Capital.

La Fed ha dunque deciso di rinviare l’obiettivo della normalizzazione dei tassi d’interesse e la BCE ha reagito minacciando di espandere il previsto programma di QE con ulteriori acquisti e altri tassi d’interesse negativi, mentre la comunità finanziaria si domanda per quanto tempo tutto questo potrà proseguire. Ancora per molto, suppongo, quanto meno se la storia insegna qualcosa. Ken Rogoff e Carmen Reinhart hanno meticolosamente documentato gli episodi di “repressione finanziaria”, periodi di alcuni anni e in qualche caso di alcuni decenni in cui i rendimenti a breve e persino a lungo termine sono stati mantenuti artificialmente al di sotto del livello di inflazione. Negli Stati Uniti il ciclo repressivo più recente si è protratto per quasi mezzo secolo, dal 1930 al 1979. In quel periodo gli investitori guadagnavano in media l’1,5% in meno del tasso al quale il loro capitale continuava a erodersi a causa dell’inflazione: un incubo per qualsiasi risparmiatore. Ma poi venne Paul Volcker a rivoltare il mercato obbligazionario e da allora (e sino al 2009) i mercati finanziari hanno beneficiato di rendimenti reali positivi e di un forte sostegno ai prezzi di altre attività, in quanto tali rendimenti sono gradualmente diminuiti incrementando il valore attuale di obbligazioni, azioni e immobili. I tassi d’interesse prossimi o pari a zero sembrano fare miracoli per i prezzi degli asset e persino stabilizzare per qualche tempo l’economia reale, ma portano con sé un fardello che diventa sempre più pesante allorché tale livello contenuto dei tassi diventa la norma generalmente attesa.

Le banche centrali, tutte prese dai loro modelli, a quanto pare non se ne rendono conto. Abituate alle regole di Taylor e alle curve di Phillips, nelle loro dichiarazioni si concentrano quasi ossessivamente sulle statistiche occupazionali e sul loro impatto sull’inflazione. Ma nell’interpretazione dei dati, o forse nella transizione verso un’economia finanziaria della Nuova normalità, si perde di vista il fatto che se da un lato i rendimenti allo 0% o 0,25% o ai livelli artificialmente depressi osservati in altri paesi potrebbero essere indicati per tenere a galla l’economia, dall’altro costituiscono un peso o una “zavorra” che in definitiva provoca anche un rallentamento della crescita economica. Nessun modello condurrà mai a questa conclusione. Qualche indicazione al riguardo sembra provenire dall’esperienza giapponese degli ultimi decenni, che trova però una comoda scusante nell’invecchiamento demografico della società nipponica. Lo zero non viene mai menzionato come complice, specialmente poiché l’inflazione stessa si attesta in media al medesimo livello. Modelli a parte, tuttavia, nei libri di testo o nei verbali delle riunioni delle banche centrali dovrebbe esserci spazio per una presa d’atto dell’influenza deleteria esercitata dai tassi zero nel medio-lungo termine. Perché? Perché i tassi zero distruggono la funzione del risparmio del capitalismo, che è una componente necessaria e di fatto speculare dell’investimento. La verità di tale affermazione non è immediatamente palese. Se le imprese possono indebitarsi a tassi pressoché nulli, perché mai non dovrebbero approfittarne e investire i fondi così ottenuti nell’economia reale? Eppure dai dati degli ultimi anni si evince che non l’hanno fatto, e che hanno invece riversato miliardi di dollari nell’economia finanziaria, riacquistando azioni proprie in operazioni di arbitraggio apparentemente sicure e fiscalmente vantaggiose. Ma l’aspetto più importante è che i tassi zero distruggono i modelli di business esistenti come i bilanci delle compagnie di assicurazione vita e i fondi pensione, che a loro volta dovrebbero usare i proventi per erogare prestazioni previdenziali a una società di “baby boomer” in via di invecchiamento. L’assunzione di tali passività si fondava sull’ipotesi che un portafoglio bilanciato di azioni e obbligazioni avrebbe offerto un rendimento del 7-8% nel lungo periodo. Adesso che le obbligazioni corporate rendono il 2-3%, è evidente che per consentire di finanziare le future prestazioni sanitarie, pensionistiche e assicurative i corsi azionari devono aumentare del 10% all’anno al fine di soddisfare le ipotesi iniziali. Neppure un contabile o un attuario con la più fervida immaginazione oserebbe prevedere tanto.

Le banche centrali non si accorgono che Detroit, Portorico e presto Chicago non riescono a far fronte alle passività assunte? Forse danno la colpa del problema a una cattiva gestione e a una governance inetta, e poi ritornano alle loro curve di Phillips per indicazioni sulla politica monetaria? Non sanno che se lo zero diventasse la norma a lungo termine qualsiasi soggetto economico che non fosse in grado di stampare la propria moneta (come fanno gli istituti di emissione) si troverebbe presto “a secco”, come ha detto una volta Pete Peterson di Blackstone nel descrivere il nostro probabile scenario futuro? Il mondo sviluppato comincia già a trovarsi a secco perché gli investimenti scontati a un tasso prossimo allo zero nel medio periodo non possono fornire cash flow o le plusvalenze necessarie per finanziare le promesse passate in una società senescente. E non si pensi che questi poveri assicuratori e colossali fondi pensione che gestiscono centinaia di miliardi di dollari siano gli unici a rimetterci. Gli americani comuni con i loro piani 401k si trovano in un guaio simile. Sperando in un 8-10% per far fronte alle spese legate all’istruzione, alle cure mediche, al pensionamento o semplicemente alle consuete vacanze, non possono far molto finché i rendimenti a breve rimangono a zero. Più che in un mare di guai si trovano infilzati su uno spiedo, cucinati vivi e a fuoco lento mentre le banche centrali si concentrano sui loro modelli di Taylor e combattono contro un’inflazione inesistente. Il mio consiglio per loro è: allontanatevi dallo zero e fatelo in fretta. Un tasso sui fed fund al 2% danneggerebbe forse le imprese statunitensi il cui debito è già giunto a scadenza? Un po’. I prezzi delle azioni e delle obbligazioni diminuirebbero? Certamente. Ma come riconobbe Volcker nel 1979, i tempi sono maturi per una nuova tesi che ripristini la funzione del risparmio nelle economie sviluppate, che permetta ai modelli di business basati sulle passività di sopravvivere – anche se con budget più ridotti – e che in definitiva rinvigorisca l’investimento privato, che è l’essenza di un’economia fiorente. Difficoltà nell’immediato? Sì. Benefici a lungo termine? Quasi certamente. Via dallo zero, subito!


Costruzione del portafoglio - Bill Gross, i consigli di ottobre - Promotore Finanziario
 
Bill Gross, i consigli di ottobre

Il noto gestore e la sua view sul mese appena iniziato.

01/10/2015 Giacomo Nero
Ottobre, mese da tenere d'occhio, finanziariamente parlando. A darci una mano ci pensa il celeberrimo gestore Bill Gross. Ecco la sua view tratta dall'Investment Outlook di Janus Capital.

La Fed ha dunque deciso di rinviare l’obiettivo della normalizzazione dei tassi d’interesse e la BCE ha reagito minacciando di espandere il previsto programma di QE con ulteriori acquisti e altri tassi d’interesse negativi, mentre la comunità finanziaria si domanda per quanto tempo tutto questo potrà proseguire. Ancora per molto, suppongo, quanto meno se la storia insegna qualcosa. Ken Rogoff e Carmen Reinhart hanno meticolosamente documentato gli episodi di “repressione finanziaria”, periodi di alcuni anni e in qualche caso di alcuni decenni in cui i rendimenti a breve e persino a lungo termine sono stati mantenuti artificialmente al di sotto del livello di inflazione. Negli Stati Uniti il ciclo repressivo più recente si è protratto per quasi mezzo secolo, dal 1930 al 1979. In quel periodo gli investitori guadagnavano in media l’1,5% in meno del tasso al quale il loro capitale continuava a erodersi a causa dell’inflazione: un incubo per qualsiasi risparmiatore. Ma poi venne Paul Volcker a rivoltare il mercato obbligazionario e da allora (e sino al 2009) i mercati finanziari hanno beneficiato di rendimenti reali positivi e di un forte sostegno ai prezzi di altre attività, in quanto tali rendimenti sono gradualmente diminuiti incrementando il valore attuale di obbligazioni, azioni e immobili. I tassi d’interesse prossimi o pari a zero sembrano fare miracoli per i prezzi degli asset e persino stabilizzare per qualche tempo l’economia reale, ma portano con sé un fardello che diventa sempre più pesante allorché tale livello contenuto dei tassi diventa la norma generalmente attesa.

Le banche centrali, tutte prese dai loro modelli, a quanto pare non se ne rendono conto. Abituate alle regole di Taylor e alle curve di Phillips, nelle loro dichiarazioni si concentrano quasi ossessivamente sulle statistiche occupazionali e sul loro impatto sull’inflazione. Ma nell’interpretazione dei dati, o forse nella transizione verso un’economia finanziaria della Nuova normalità, si perde di vista il fatto che se da un lato i rendimenti allo 0% o 0,25% o ai livelli artificialmente depressi osservati in altri paesi potrebbero essere indicati per tenere a galla l’economia, dall’altro costituiscono un peso o una “zavorra” che in definitiva provoca anche un rallentamento della crescita economica. Nessun modello condurrà mai a questa conclusione. Qualche indicazione al riguardo sembra provenire dall’esperienza giapponese degli ultimi decenni, che trova però una comoda scusante nell’invecchiamento demografico della società nipponica. Lo zero non viene mai menzionato come complice, specialmente poiché l’inflazione stessa si attesta in media al medesimo livello. Modelli a parte, tuttavia, nei libri di testo o nei verbali delle riunioni delle banche centrali dovrebbe esserci spazio per una presa d’atto dell’influenza deleteria esercitata dai tassi zero nel medio-lungo termine. Perché? Perché i tassi zero distruggono la funzione del risparmio del capitalismo, che è una componente necessaria e di fatto speculare dell’investimento. La verità di tale affermazione non è immediatamente palese. Se le imprese possono indebitarsi a tassi pressoché nulli, perché mai non dovrebbero approfittarne e investire i fondi così ottenuti nell’economia reale? Eppure dai dati degli ultimi anni si evince che non l’hanno fatto, e che hanno invece riversato miliardi di dollari nell’economia finanziaria, riacquistando azioni proprie in operazioni di arbitraggio apparentemente sicure e fiscalmente vantaggiose. Ma l’aspetto più importante è che i tassi zero distruggono i modelli di business esistenti come i bilanci delle compagnie di assicurazione vita e i fondi pensione, che a loro volta dovrebbero usare i proventi per erogare prestazioni previdenziali a una società di “baby boomer” in via di invecchiamento. L’assunzione di tali passività si fondava sull’ipotesi che un portafoglio bilanciato di azioni e obbligazioni avrebbe offerto un rendimento del 7-8% nel lungo periodo. Adesso che le obbligazioni corporate rendono il 2-3%, è evidente che per consentire di finanziare le future prestazioni sanitarie, pensionistiche e assicurative i corsi azionari devono aumentare del 10% all’anno al fine di soddisfare le ipotesi iniziali. Neppure un contabile o un attuario con la più fervida immaginazione oserebbe prevedere tanto.

Le banche centrali non si accorgono che Detroit, Portorico e presto Chicago non riescono a far fronte alle passività assunte? Forse danno la colpa del problema a una cattiva gestione e a una governance inetta, e poi ritornano alle loro curve di Phillips per indicazioni sulla politica monetaria? Non sanno che se lo zero diventasse la norma a lungo termine qualsiasi soggetto economico che non fosse in grado di stampare la propria moneta (come fanno gli istituti di emissione) si troverebbe presto “a secco”, come ha detto una volta Pete Peterson di Blackstone nel descrivere il nostro probabile scenario futuro? Il mondo sviluppato comincia già a trovarsi a secco perché gli investimenti scontati a un tasso prossimo allo zero nel medio periodo non possono fornire cash flow o le plusvalenze necessarie per finanziare le promesse passate in una società senescente. E non si pensi che questi poveri assicuratori e colossali fondi pensione che gestiscono centinaia di miliardi di dollari siano gli unici a rimetterci. Gli americani comuni con i loro piani 401k si trovano in un guaio simile. Sperando in un 8-10% per far fronte alle spese legate all’istruzione, alle cure mediche, al pensionamento o semplicemente alle consuete vacanze, non possono far molto finché i rendimenti a breve rimangono a zero. Più che in un mare di guai si trovano infilzati su uno spiedo, cucinati vivi e a fuoco lento mentre le banche centrali si concentrano sui loro modelli di Taylor e combattono contro un’inflazione inesistente. Il mio consiglio per loro è: allontanatevi dallo zero e fatelo in fretta. Un tasso sui fed fund al 2% danneggerebbe forse le imprese statunitensi il cui debito è già giunto a scadenza? Un po’. I prezzi delle azioni e delle obbligazioni diminuirebbero? Certamente. Ma come riconobbe Volcker nel 1979, i tempi sono maturi per una nuova tesi che ripristini la funzione del risparmio nelle economie sviluppate, che permetta ai modelli di business basati sulle passività di sopravvivere – anche se con budget più ridotti – e che in definitiva rinvigorisca l’investimento privato, che è l’essenza di un’economia fiorente. Difficoltà nell’immediato? Sì. Benefici a lungo termine? Quasi certamente. Via dallo zero, subito!


Costruzione del portafoglio - Bill Gross, i consigli di ottobre - Promotore Finanziario



belli questi passaggi.... :cool:
 

Il nuovo fondo di Bill Gross per ora perde il confronto con il suo fondo precedente gestito da altri di Pimco da fine settembre 2014


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