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a difesa del gregge
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I gestori provano a essere meno pessimisti

La ripresa è ancora lontana, ma ci sono alcuni segnali di ritorno alla normalità.
Sara Silano 13/02/2009 09.34


Nelle risposte dei gestori all’ultimo sondaggio Morningstar si legge tra le righe un minor pessimismo, ma non è ancora il momento di essere ottimisti sulle principali Borse mondiali. Dall’indagine, condotta tra 22 delle principali case di investimento che operano in Italia, emerge che Wall Street potrebbe essere il primo mercato a stabilizzarsi, seguito dall’Europa, mentre il Giappone è ancora dominato da forze contrapposte. Nel complesso, sui mercati finanziari stanno leggermente migliorando le condizioni monetarie e del credito.

Europa, recessione severa ma non depressione
Le Borse del Vecchio continente scontano una recessione severa, che non si è ancora manifestata interamente. E’ probabile, dunque, che il flusso di notizie macroeconomiche negative continui nei prossimi mesi. L’Europa, però, non cadrà in depressione, grazie agli interventi straordinari di politica fiscale e monetaria. A questo si aggiunge la revisione al ribasso degli utili, che è destinata a proseguire, considerata la situazione congiunturale. I mercati, dunque, potrebbero toccare nuovi minimi nella prima parte dell’anno, seguiti da brevi rimbalzi. Per una ripresa più duratura bisognerà aspettare la fine del 2009. Quasi il 60% dei gestori prevede che i listini non si discosteranno significativamente dagli attuali livelli nei prossimi sei mesi, mentre il 13,6% considera possibile un’ulteriore discesa (a gennaio era quasi del 28%).

Usa, il rally può attendere
La situazione americana non è molto differente da quella europea sia dal punto di vista congiunturale sia dei mercati finanziari. Tuttavia, molti gestori sono convinti che Wall Street offra le migliori opportunità, considerato che è in una fase più avanzata della crisi economica e ha carattere più difensivo. Un nodo delicato è rappresentato dal piano di stimoli governativi messo a punto dalla nuova amministrazione, perché è ancora troppo presto per poter dire se sarà sufficiente per aiutare l’America ad uscire dalla recessione. In questo contesto, il 63,6% dei gestori prevede che la Borsa statunitense oscillerà, anche violentemente, intorno agli attuali livelli nei prossimi sei mesi. Meno del 10% si attende cali significativi (a gennaio, la percentuale era quasi doppia).

Il Giappone continuerà a deludere?
Tokyo è la Borsa che raccoglie il maggior numero di pessimisti (quasi un terzo dei gestori). L’economia nipponica è molto legata alle esportazioni e quindi risente di più della recessione globale. In particolare, c’è molta incertezza su quale sarà l’impatto del rallentamento della Cina e del sud-est asiatico. Gli analisti si attendono una discesa degli utili per l’anno fiscale 2008-09 (che si conclude a marzo) e secondo alcuni le previsioni di una ripresa nei dodici mesi successivi sono troppo ottimiste.

Ancora politiche espansive
Il presidente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet, ha lasciato intendere la possibilità di un taglio dei tassi a marzo, dopo quello deciso a gennaio, che ha portato i saggi di riferimento al 2%. I gestori sono convinti che la politica espansiva continuerà. Per questa ragione, circa il 40% degli intervistati stima rendimenti in discesa e prezzi in salita. Le quotazioni saranno sostenute anche da un’ulteriore migrazione verso la qualità da parte degli investitori, almeno fino a quando non tornerà l’appetito per il rischio. I fund manager invitano alla prudenza sul mercato obbligazionario americano. I rendimenti governativi, infatti, sono ai minimi storici e non sono possibili ulteriori tagli da parte della Federal Reserve. La banca centrale statunitense, tuttavia, manterrà i tassi bassi ancora a lungo.

Il cambio divide i gestori
La percentuale di gestori che prevedono un rialzo dell’euro (36%) equivale a quella dei fund manager che si attendono un ulteriore rafforzamento del dollaro. Il cosiddetto “fly to quality” e la probabilità che gli Stati Uniti ripartano prima favoriscono il biglietto verde, mentre le politiche monetarie e fiscali espansive possono indebolirlo.

Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 5 e l’11 febbraio, 22 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa il 85% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen Am, Aletti Gestielle, Axa Im, Banca Ifigest, Banca Profilo, Bipiemme Gestioni, Bnp Paribas Am Sgr, Eurizon Capital, Euromobiliare AM, Fideuram Investimenti, Henderson Global Investors, Ing IM, Investitori Sgr, Julius Baer, Maxos sim, Mc Gestioni, Mps Am, Pioneer Im, Sella Gestioni, Sgam, Standard Chartered Bank, Vontobel.
 
I gestori provano a essere meno pessimisti

La ripresa è ancora lontana, ma ci sono alcuni segnali di ritorno alla normalità.
Sara Silano 13/02/2009 09.34


Nelle risposte dei gestori all’ultimo sondaggio Morningstar si legge tra le righe un minor pessimismo, ma non è ancora il momento di essere ottimisti sulle principali Borse mondiali. Dall’indagine, condotta tra 22 delle principali case di investimento che operano in Italia, emerge che Wall Street potrebbe essere il primo mercato a stabilizzarsi, seguito dall’Europa, mentre il Giappone è ancora dominato da forze contrapposte. Nel complesso, sui mercati finanziari stanno leggermente migliorando le condizioni monetarie e del credito.


AH AH AH AH AH AH:D:D:D:D
mi sembra l'unico commento fattibile a questi "gestori" che regolarmente hanno ragione ...nel 50% dei casi!!!??:cool::cool:
 
AH AH AH AH AH AH:D:D:D:D
mi sembra l'unico commento fattibile a questi "gestori" che regolarmente hanno ragione ...nel 50% dei casi!!!??:cool::cool:

se non altro, i gestori sono imparziali e privi di conflitti di interesse...

proviamo a chiedere all' oste se il vino e' buono ....
 
se non altro, i gestori sono imparziali e privi di conflitti di interesse...

proviamo a chiedere all' oste se il vino e' buono ....

penso che oggi la scelta sia molto vasta sia per quanto riguarda fondi o etf ecc...
si tratta di studiare selezionare e operare con consapevolezza le proprie scelte
 
Chi era i gestori intervistati^?
 
Tomasi Gestielle , Franco UBI Pramerica, ma la trasmissione è ancora in onda su Radio 24

Sono andato a pranzo non ho avuto modo di seguirla. Ho sentito pero' il commento di liera, alcune cose mi sono sembrate molto interessanti e in parte concordo. Ora me la risento meglio per capire che premio hanno ricevuto questi 2 gestori, e soprattutto su che tipo di fondi. Ecco, fortunatamente ho trovato il link. Gestielle ha ricevuto il premio sul fondo:

Gestielle Bond Dollars A

Qualcuno mi spiega perche' ha vinto questo fondo, che non ha fatto altro che
apprezzarsi semplicemente perche' il dollaro si e' rafforzato? Cioe' siamo veramente alla frutta. E questi qui vorrebbero passare come dei bravi gestori? :D
 
Ultima modifica:
Sono andato a pranzo non ho avuto modo di seguirla. Ho sentito pero' il commento di liera, alcune cose mi sono sembrate molto interessanti e in parte concordo. Ora me la risento meglio per capire che premio hanno ricevuto questi 2 gestori, e soprattutto su che tipo di fondi.
neanche io son riuscito a seguire la trasmissione
comunque questi dovrebbero essere tutti i vincitori del premio alto rendimento
http://www.ilsole24ore.com/eventi/premio-alto-rendimento/pdf/Vincitori_2008.pdf
 
MIISI, Italia meglio dell’Europa


L’indice di sentiment su Piazza Affari, calcolato da Morningstar, sale a 78 punti per la prima volta da gennaio 2014. I gestori prevedono un aumento della volatilità sul mercato dei titoli governativi.

Sara Silano 18/06/2015 | 12:01


A giugno, fa un balzo di dieci punti l’indice di sentiment sui Piazza Affari, toccando il livello più alto da gennaio 2014. Lo rivela il consueto sondaggio realizzato da Morningstar tra le principali case di investimento che operano in Italia (a cui hanno partecipato 25 investitori professionali).

Nel complesso, il Morningstar Italy Investment Sentiment index (MIISI), costruito sulla base delle probabilità attribuite a diversi scenari (mercati in salita, stabili o in discesa) su un orizzonte di sei mesi, rimane sostanzialmente invariato rispetto a maggio per quanto riguarda il giudizio sulle principali Borse mondiali, mentre è in discesa relativamente ai prezzi dei titoli governativi.

Europa, migliora l’outlook
A giugno, l’indice di sentiment sulle Borse europee si è attestato a 66,7 punti contro i 69,7 di maggio. I gestori continuano a essere ottimisti, grazie a un quadro macro-economico in miglioramento. Secondo la Bce, “pur mantenendo la tendenza al ribasso, i rischi legati all’outlook economico per l’Eurozona sono diventati più equilibrati dopo le recenti decisioni di politica monetaria, il calo nei prezzi del petrolio e il deprezzamento dell’euro.” La volatilità sui mercati azionari è considerata come un movimento di stabilizzazione non come un segnale di cambiamento del trend.

Italia in primo piano
L’indice MIISI sulla Borsa milanese sale ai massimi da gennaio 2014 (data in cui è iniziato il calcolo dell’indicatore), balzando dai 68,2 punti di maggio a 78,2 e staccandosi da quello europeo. Gli attesi segnali di miglioramento dell’economia hanno cominciato a tradursi in realtà. Il Pmi del settore manifatturiero, un utile indicatore dell’attività industriale, a maggio ha toccato i massimi da febbraio 2011 e anche la fiducia dei consumatori è sui livelli più alti da 13 anni. Inoltre, i gestori valutano positivamente le riforme strutturali in atto. Infine, il mercato azionario è considerato a sconto rispetto al resto dell’Europa e ha attirato negli ultimi mesi flussi di investimento nei fondi comuni specializzati.

Usa, un po’ di debolezza
L’indice di fiducia su Wall Street ha subito una minima variazione a giugno, attestandosi a 56,6 punti (57,4 a maggio). Nei primi mesi dell’anno, si è registrato un rallentamento dell’attività economica negli Stati Uniti, in parte dovuto a fattori transitori. Inoltre, l’inflazione rimane sotto il tasso obiettivo del 2% ed è probabile che la Federal Reserve non intervenga sui saggi di riferimento fino a quando non ci sarà un deciso miglioramento del mercato del lavoro. Infine, sugli utili aziendali pesa il rafforzamento del dollaro nei confronti dell’euro. Tutti questi fattori inducono i gestori a propendere per uno scenario di maggiore neutralità per le azioni.

Tokyo, bene gli utili
Il MIISI sull’indice Nikkei 225 scende leggermente a giugno, passando dai 65,45 punti di maggio a 63,6. Tuttavia, i gestori confermano lo scenario positivo per il mercato azionario giapponese, grazie alla favorevole dinamica degli utili aziendali, che è il risultato di cambiamenti strutturali, oltre che di fattori congiunturali. Inoltre, proseguono il processo di riforma e la politica monetaria ultra-espansiva della Bank of Japan.

Mix emergente
A giugno, i gestori hanno confermato il sentiment sui mercati emergenti espresso nei mesi scorsi. Il MIISI si è attestato a 57,6 punti (58,2 a maggio). Il quadro macro e i livelli di valutazione dei titoli azionari sono assai diversi da paese a paese. Ad esempio, l’India appare un po’ cara dopo il rally dell’anno scorso, ma ben avviata nel processo di riforma economica. Per contro, l’economia cinese dà segnali contrastanti, tuttavia la Borsa di Shanghai appare attraente in termini valutativi. In questo contesto, i gestori preferiscono un approccio selettivo.

Governativi, più volatilità
A giugno, gli indici di sentiment sul Bund tedesco e il Treasury statunitense sono tornati ad allontanarsi dallo scenario neutrale. Il primo è passato da 48,7 a 43,9 punti; il secondo da 47,5 a 42,7. Nei giorni scorsi, il governativo decennale della Germania è arrivato a toccare l’1%, il livello più alto da settembre 2014 e lontano dai minimi raggiunti ad aprile con l’avvio del Quantitative easing (allentamento monetario) da parte della Bce. I gestori si aspettano un aumento della volatilità nei prossimi mesi, in seguito al miglioramento delle aspettative sulla crescita economica e alle tensioni legate al debito ellenico. Le dinamiche macro alimentano la volatilità anche sul mercato obbligazionario americano.

Per quanto riguarda il BTp decennale italiano, l’indice di sentiment è sceso da 53,1 (maggio) a 46,4 punti. Secondo alcuni, il divario di rendimenti tra i titoli periferici e il Bund tedesco, che si è creato di recente, offre opportunità di acquisto dei primi in un’ottica tattica.Si è allontanato da uno scenario di neutralità anche l’indice MIISI sulle obbligazioni emergenti, calato a 47 punti a giugno. L’attenzione degli investitori è concentrata sulle emissioni in dollari, che offrono un buon rendimento rispetto al Treasury americano.

Euro/dollaro senza scossoni
A giugno, l’indice MIISI sul rapporto di cambio tra euro e dollaro è leggermente sceso a 43,2 punti (44 punti a maggio). Il mercato valutario è influenzato dall’andamento dei titoli governativi core sulle due sponde dell’oceano.


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La crisi greca frena gli investitori


A maggio sono rallentati i flussi nei fondi europei. In rosso gli azionari. Tengono gli alternativi e i bilanciati. Nel reddito fisso si cercano nuove fonti di reddito.

Sara Silano 01/07/2015 | 15:27


Rallentano bruscamente i flussi nei fondi a lungo termine europei. A maggio, secondo il Morningstar asset flow report, sono stati di 28,51 miliardi di euro, il valore più basso dall’inizio dell’anno. Ad aprile erano stati di 41,87 miliardi, ma il picco è stato a febbraio (52,21 miliardi). L’acuirsi della crisi greca ha aumentato l’avversione al rischio degli investitori. In particolare, i fondi azionari hanno registrato una raccolta negativa per 983 milioni. Sono stati colpiti sia i prodotti attivi sia quelli indicizzati, esclusi gli Etf (Exchange traded fund) che hanno, invece, avuto un flusso positivo per 540 milioni. La raccolta netta stimata dei fondi obbligazionari è stata di 5,54 miliardi a maggio (17,47 ad aprile). Hanno fatto meglio i bilanciati (15,87 miliardi) e gli alternativi (comparti che utilizzano strategie simili a quelle degli hedge fund, +7,09). Per i primi, il risultato è riconducibile soprattutto all’Italia, alla Spagna e alla Germania. Per quanto riguarda gli strumenti a breve termine (fondi monetari), i deflussi sono stati di 13,55 miliardi a maggio, primo mese negativo del 2015.

La carica degli alternativi

A livello di categorie, la più popolare è stata quella degli Alternativi multistrategy (+3,02 miliardi), che dall’inizio dell’anno ha registrato una crescita organica (flussi in percentuale del patrimonio iniziale) superiore al 19%. Il risultato è da attribuire principalmente ai fondi Global absolute return strategies di Standard Life.

Seguono diverse categorie bilanciate in euro: i fondi prudenti globali hanno raccolto circa 3 miliardi, i moderati globali 2,78 e quelli classificati come “altro” (nel quale sono compresi i prodotti a cedola e a scadenza italiani) 2,6 miliardi.

Reddito fisso a due facce

I fondi obbligazionari in euro sono stati penalizzati dall’aumento della volatilità causato dalla crisi greca. In particolare, i “diversificati” hanno subito riscatti netti per 2,64 miliardi, i corporate per 1,64 e i governativi per 1,58 miliardi.

Gli investitori, tuttavia, hanno mostrato di volere ricercare fonti alternative nel reddito fisso, come testimonia l’interesse per i comparti che fanno arbitraggi sul debito di Black Rock (società che ha avuto il livello di flussi più elevato a maggio) e quelli sulle obbligazioni emergenti (in questo caso la casa di gestione che più ne ha beneficiato è Ubs). I fondi bilanciati a cedola e a scadenza sono stati, invece, i protagonisti della raccolta di Pioneer Investments ed Eurizon Capital.

Chi va giù

Tra le case di investimento più colpite dai deflussi a maggio figurano Franklin Templeton, M&G e Aberdeen. A penalizzare la prima sono i fondi obbligazionari globali gestiti da Michael Hasenstab, che hanno una forte esposizione ai mercati emergenti. M&G ha subito i riscatti dal comparto Optimal income, ma anche dal Global dividend e dall’European corporate bond. Infine, Aberdeen ha dovuto fare i conti con le fuoriuscite dai fondi azionari emergenti e dal World equity dividend.


La crisi greca frena gli investitori | Morningstar
 

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Le performance delle buone società

Uno studio di Morningstar mostra che le Sgr che allineano i loro interessi con quelli degli investitori ottengono risultati migliori nel tempo.

Sara Silano 09/07/2015 | 12:22



Una società di gestione che sa trattenere i suoi talenti, non cavalca le mode nel lancio dei prodotti e non si fa guidare esclusivamente da logiche commerciali, produce migliori risultati per gli investitori. A dirlo è un’analisi di Morningstar sulla cosiddetta stewardship (letteralmente buona amministrazione) dell’industria del risparmio americana. Lo studio, non si basa esclusivamente su giudizi qualitativi, ma su indicatori statistici che permettono di misurare la stewardship. Tra questi ci sono la capacità di un’azienda di trattenere i suoi talenti (manager retention rate), gli anni di esperienza (manager tenure) e l’investimento dei money manager nei fondi che gestiscono.

Trattenere i talenti
L’analisi mostra che le società con Manager retention superiore al 95% su cinque anni hanno un “tasso di successo” (misurato in termini di Morningstar Success Ratio e Morningstar Risk adjusted Success Ratio, due indicatori che evidenziano quali fondi siano sopravvissuti e abbiano sovraperformato i propri concorrenti nel periodo considerato, correggendo quindi per il cosiddetto survivorship bias) più elevato di quelle sotto l’85%.

Questa misura è importante non solo per valutare le performance, ma anche perché dà un’indicazione sulla cultura aziendale, le capacità della società di trattenere i professionisti di talento e la sua “pazienza” nel sopportare periodi di performance deludenti. Un elevato turnover può significare che la casa di investimento ha difficoltà nel trovare le persone adatte a coprire determinate strategie. Ci sono situazioni in cui la possibilità di tenere le persone più brave è compromessa, come ad esempio le fusioni tra imprese o tra fondi.

Può essere utile combinare l’indicatore di retention con la cosiddetta manager tenure, che misura quanto a lungo un gestore è stato responsabile di una data strategia e rappresenta un altro segnale del “successo” di un’azienda nel fornire ai clienti risultati migliori. E’ importante anche perché l’uscita di un professionista può portare a un cambiamento nel processo di investimento, soprattutto nei casi in cui questo fosse tipico di quel particolare manager.

Dove investono i gestori
Lo studio di Morningstar considera un altro fattore, l’investimento del gestore nel suo fondo. La misurazione è possibile negli Stati Uniti (non in Italia), perché la Sec (la Consob a stelle e strisce) richiede di rendere noto questo dato su base annuale e all’interno di determinate fasce patrimoniali. Gli americani dicono Invest in managers who eat their own cooking, ossia investi nei gestori che mangiano il pasto che cucinano. In effetti, una simile strategia ha i suoi vantaggi. Innanzitutto, nessuno più del gestore conosce a fondo il prodotto di cui ha la responsabilità e può valutare se risponde alle sue esigenze. Inoltre, i fund manager sono molto oculati sulle spese, quindi eviteranno per sé prodotti troppo costosi, in quanto sanno quale peso hanno le fee sulle performance. Un altro vantaggio è l’allineamento tra l’interesse dell’investitore e quello del gestore. Tutti questi elementi rendono questo fattore predittivo delle performance future.

Costi e prodotti alla moda
Altri indicatori di stewardship sono i profili commissionali e, più in generale, le politiche commerciali (ad esempio la tendenza a lanciare molti prodotti di moda, senza tenere in debito conto le competenze interne all’azienda). Sono importanti anche le decisioni strategiche dell’azienda, come fusioni ed acquisizioni, la struttura di remunerazione dei gestori ed eventuali procedimenti legali.

Gli analisti sintetizzano lo studio di queste variabili nel giudizio dato a uno dei “pilastri” della ricerca qualitativa che porta all’assegnazione dell’Analyst rating, il cosiddetto Parent pillar. I gradi sono: Positive, Neutral e Negative.

“Noi crediamo che la qualità della società di gestione sia di estrema importanza nella valutazione dei fondi di investimento”, spiega Francesco Paganelli, analista sui fondi. “E’ la società, infatti, a decidere ad esempio i livelli dei costi, la struttura degli incentivi ai gestori, le strategie di crescita.
Tutti fattori che possono fare la differenza nel lungo termine sulla qualità dei prodotti offerti”.

Continua Paganelli: “Noi preferiamo società con una solida cultura di investimento, che abbiano dimostrato di tutelare e in alcuni casi dare la precedenza agli interessi dei propri investitori. La nostra valutazione è quindi strettamente legata al concetto di stewardship, un termine inglese che può essere tradotto più o meno come ‘gestione attenta e responsabile di qualcosa affidato alla propria cura’ e che è l’opposto di salesmanship (focus sulle vendite). Società con un buon grado di stewardship pongono grande attenzione ai processi di investimento, tendono a operare all'interno del loro circolo di competenze e cercano di stabilire relazioni di lungo termine con i propri investitori, trattandoli come veri e propri partner. Preferiamo questo tipo di organizzazioni a quelle troppo focalizzate sulla raccolta, sui risultati di breve termine e sul lancio di prodotti trendy che aiutano la crescita degli attivi ma non rappresentano, nella maggioranza dei casi, la scelta ideale per un investitore”.

Anche se poche aziende si collocano ai due estremi, determinare il grado di stewardship o salesmanship di una società è l’obiettivo dell’analisi di Morningstar. A tal fine il team di ricerca analizza diversi aspetti, organizzando interviste con le stesse Sgr. “Ad esempio, esaminiamo la struttura organizzativa, il turnover e l’esperienza media dei team di gestione, la capacità di attrarre nuovi talenti, la gestione del capacity risk dei fondi, la strategia di crescita del gruppo, i risultati della gamma dei comparti offerti, il grado di trasparenza, la struttura di incentivi ai gestori, oltre logicamente a verificare la conformità a norme, regole o standard impartiti dal legislatore o dalle autorità di settore”, dice Paganelli.

Il panorama italiano Le sgr italiane, attualmente coperte dai report Morningstar, che sono in tutto nove, hanno un rating neutrale (5) o negativo (4), come si può vedere nella tabella.

“La valutazione sotto la media di alcune Sgr italiane trova un tratto comune nel recente trend di lancio di moltissimi fondi a scadenza predefinita (anche conosciuti come “fondi a cedola”), che in alcuni casi rappresentano ormai il 40% degli asset in gestione”, afferma Paganelli. “In generale non abbiamo un’opinione positiva di questi fondi, una tipologia di prodotto che ha trovato successo in particolare nelle reti distributive bancarie che si rivolgono ai clienti retail. Questi fondi sono caratterizzati tra le altre cose da costi alti, minor flessibilità e da performance mediamente al di sotto dei fondi tradizionali” (vedi qui un’analisi di quelli obbligazionari).

“Per ciascuna di queste società ci sono comunque a nostro parere altre aree di miglioramento”, conclude l’analista. “Nei diversi casi tale svantaggio si concretizza nella presenza di costi mediamente troppo elevati, un meccanismo di remunerazione variabile dei gestori che fa un pessimo lavoro in termini di allineamento degli interessi dei gestori con quelli degli investitori, risultati dei fondi mediamente poco competitivi o, ancora, una forte instabilità nei team di gestione”.


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I gestori prendono le distanze dal rischio


La crisi greca ha oscurato i segnali di ripresa economica. I prossimi mesi saranno caratterizzati dalla volatilità sia sui mercati azionari sia su quelli obbligazionari. Cambio di rotta per l’indice di sentiment sull’Italia.

Sara Silano 16/07/2015 | 14:05


I gestori riducono l’esposizione alle attività finanziarie più rischiose. E’ quanto emerge dall’ultimo sondaggio condotto all'inizio di luglio da Morningstar tra le principali case di investimento che operano in Italia (a cui hanno partecipato una ventina di investitori professionali).

Nel complesso, il Morningstar Italy Investment Sentiment index (MIISI), costruito sulla base delle probabilità attribuite a diversi scenari (mercati in salita, stabili o in discesa), su un orizzonte di sei mesi, mostra un minore ottimismo sul futuro, a causa dell’incertezza generata dalla situazione greca e dal crollo della Borsa cinese (il sondaggio è stato realizzato prima dell’accordo tra Atene e l’Eurogruppo).

La crisi greca pesa sull’Europa
A luglio, l’indice di sentiment sulle Borse europee si è attestato a 69,62 punti. Nell’Eurozona, la ripresa è ben avviata, ma la crisi greca ha oscurato il quadro macro. Nonostante il suo peso nell’economia dell’area sia limitato, le decisioni politiche di Atene generano instabilità nell’intera area, con conseguente turbamento dei mercati finanziari. Il discorso vale anche per il Belpaese. L’indice MIISI sulla Borsa milanese ha cambiato rotta a luglio, dopo aver toccato, il mese scorso, i massimi da gennaio 2014 (data in cui è iniziato il calcolo dell’indicatore). Pur rimanendo in territorio ampiamente positivo, è sceso da 78,2 a 70,88 punti.

Usa, l’economia va
A luglio, torna a salire l’indice di fiducia su Wall Street, passando da 56,6 a 61,25 punti. Dopo un inizio d’anno deludente, l’economia è tornata in carreggiata e rimarrà abbastanza solida da favorire un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro. La maggiore pressione salariale dovrebbe riportare l’inflazione verso il livello target fissato dalla Federal Reserve (2%) e, di conseguenza, indurre l’istituto centrale ad alzare i tassi di interesse.

Tokyo, ancora su
Il MIISI sull’indice Nikkei 225 sale a 68 punti a luglio dai 63,6 di giugno. La Borsa nipponica ha guadagnato circa il 17% in valuta locale nei primi sei mesi, grazie al programma di Quantitative easing (politiche monetarie espansive), a un miglioramento degli utili societari e all’indebolimento dello yen. I gestori sono convinti che abbia ancora potenzialità di crescita, grazie alla maggiore competitività delle imprese.

Emergenti in attesa della Fed
A luglio, i gestori hanno confermato il sentiment sui mercati emergenti espresso nei mesi scorsi. Il MIISI si è attestato a 57,75 punti (57,6 a giugno). Gli investitori continuano a ragionare sulle conseguenze che avrà il futuro rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve. Le previsioni di crescita economica si sono ridimensionate rispetto al passato, con conseguenti effetti negativi sugli utili delle imprese.

Volatilità sui mercati obbligazionari
A luglio, gli indici di sentiment sul Bund tedesco e il Treasury statunitense sono scivolati verso uno scenario negativo. Il primo è passato da 43,9 a 38,79 punti; il secondo da 42,7 a 39,07. L’aumento della volatilità dei titoli considerati privi di rischio è il segnale che i mercati obbligazionari hanno cominciato a ragionare sulla fine delle politiche monetarie espansive e su un graduale aumento dell’inflazione.

Per quanto riguarda il BTp decennale italiano, l’indice di sentiment è tornato a salire leggermente, da 46,4 a 50,89 punti. Il governativo ha dimostrato di saper reggere gli scossoni delle altalenanti fasi della crisi greca, senza che ci sia stato il temuto rischio di contagio. E’ tornato a uno scenario di neutralità anche l’indice MIISI sulle obbligazioni emergenti, passato da 47 a 51,81 punti, in un contesto che rimane molto volatile.

Euro più debole
A luglio, l’indice MIISI sul rapporto di cambio tra euro e dollaro è sceso sotto i 40 punti, tornando ai livelli di febbraio. Generano volatilità gli sviluppi della crisi greca, che determinano il susseguirsi di rimbalzi correttivi e prese di profitto.

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Fondi, l’allungo degli azionari Europa

A luglio, i comparti specializzati sulle Borse europee sono stati i più popolari tra gli investitori del Vecchio continente. Flussi netti positivi anche per bilanciati e alternativi. In rosso gli obbligazionari.

Sara Silano 03/09/2015 | 14:56


Mentre l’industria dei fondi attende i dati di agosto per capire le conseguenze del crollo della Borsa cinese, tira un sospiro di sollievo per le statistiche di luglio. Secondo il Morningstar asset flow report, i flussi netti stimati nei fondi a lungo termine (azionari, obbligazionari, bilanciati, alternativi, ecc.), esclusi i monetari, sono stati pari a 25,97 miliardi di euro in tutta Europa.


Vendite sugli azionari Cina

In particolare, i fondi azionari hanno beneficiato del ritorno dell’appetito per il rischio, dopo l’accordo per il salvataggio della Grecia. La raccolta è stata di 8,29 miliardi, il miglior risultato degli ultimi dodici mesi. Il dato è imputabile ai flussi sui prodotti specializzati sui mercati sviluppati, mentre quelli emergenti hanno risentito dei timori sulla crescita cinese e delle tensioni nei rapporti valutari. Con le azioni di classe A (quotate a Shanghai e Shenzhen) in calo del 14,5% (in dollari) a luglio, gli investitori hanno riscattato i comparti specializzati nell’area, che hanno perso 2,12 miliardi di masse.

Nel dettaglio, le categorie azionarie che hanno raccolto di più sono state quelle degli Azionari Europa e Usa large cap (con stile blend). “E’ interessante notare che il 41% dei flussi netti oltreoceano sono andati negli indicizzati, contro solo il 6% nel Vecchio continente”, dice Matias Möttölä del Morningstar Emea Manager research team.


Gli alternativi fanno il pieno

Oltre gli azionari, a luglio sono andati bene i fondi bilanciati, con sottoscrizioni nette per circa 9,3 miliardi, e gli alternativi (+9,03 miliardi). Questi ultimi sono tra i più popolari dall’inizio dell’anno (+51,6 miliardi): la raccolta dei primi sette mesi del 2015 ha superato quella totale del 2015. Il risultato è in larga parte attribuibile ai multistrategy, che offrono l’esposizione a diversi approcci di investimento, e ai market neutral – equity (strategie volte a ridurre il rischio sistemico).

Si è mosso in controtendenza rispetto alle principali attività finanziarie, il reddito fisso. Morningstar ha stimato flussi netti negativi per 591 milioni a luglio. Nonostante i fondi obbligazionari europei abbiano registrato mediamente rendimenti positivi, le prospettive di lungo termine sono limitate, dato il contesto di bassi tassi di interesse. Non stupisce, quindi, che gli investitori abbiano preferito i fondi monetari (+21,38 miliardi), che espongono a titoli di qualità e a breve scadenza. Tra le categorie obbligazionarie con i più alti deflussi figurano i comparti specializzati nelle emissioni societarie e i diversificati in euro.


La carica dei nuovi fondi

Tra le società di gestione, si colloca al primo posto per flussi netti BlackRock (+3,84 miliardi), grazie alla raccolta sia sugli azionari sia sul reddito fisso. Segue con distacco Odey asset management (+1,55 miliardi), che ha beneficiato del lancio dell’European Focus equity fund, comparto che è stato inserito nella gamma con l’arrivo del gestore Oliver Kelton da Waverton. Nei primi dieci per raccolta a luglio, entra anche Ubi che ha lanciato la Sicav Income opportunities, il cui successo è legato alla domanda di fondi bilanciati.

Sul fronte opposto, è stato un mese difficile per M&G (-1,96 miliardi), principalmente a causa dei deflussi dal fondo M&G Optimal income (-1,58 miliardi). Hanno registrato riscatti netti elevati anche Aberdeen (-1,27 miliardi) e Franklin Templeton (-1,04 miliardi), entrambi penalizzati dall’esposizione ai mercati emergenti.


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I gestori si allontanano dal rischio

Le Borse europee sono tra le preferite. L’incertezza pesa sui titoli emergenti. Bene i governativi periferici, come il BTp decennale.

Sara Silano 18/09/2015 | 10:27


I gestori rivedono le previsioni sull’andamento dei mercati azionari nei prossimi sei mesi. E’ quanto emerge dall’ultimo sondaggio condotto a settembre da Morningstar tra le principali case di investimento che operano in Italia (a cui hanno partecipato una ventina di investitori professionali).

Nel complesso, il Morningstar Italy Investment Sentiment index (MIISI), costruito sulla base delle probabilità attribuite a diversi scenari (mercati in salita, stabili o in discesa), su un orizzonte di sei mesi, mostra che gli investitori hanno assunto un atteggiamento più prudente rispetto a luglio (ad agosto il sondaggio non è stato realizzato) e sono meno propensi ad acquistare i titoli più rischiosi.


Eurolandia piace ancora
L’Europa rimane una delle aree preferite dai gestori, anche se lo scenario è meno ottimista dei mesi scorsi. A settembre, l’indice di sentiment sulle Borse del Vecchio continente si è attestato a 64,61 punti (69,62 a luglio). La politica espansiva della Banca centrale europea rappresenta un sostegno alla crescita economica, mentre le buone condizioni di liquidità e la debolezza valutaria dovrebbero dare un impulso agli utili aziendali. Inoltre, l’accordo per il salvataggio della Grecia ha dissolto i timori per un’uscita del paese dall’Unione, che rappresentava una fonte di incertezza per gli investitori.

Le previsioni sull’Italia sono simili al resto d’Europa: l’indice MIISI è sceso da 70,88 a 65,79 punti, allontanandosi dal picco toccato a giugno (78,2).


Usa, preferenze ai minimi
Lo scenario, delineato dai gestori, per Wall Street è improntato alla neutralità. Dopo il mini-balzo di luglio, il sentiment è tornato a 56,7 punti, ossia al livello di inizio estate. Gli investitori studiano la decisione della Federal Reserve di lasciare i tassi invariati al minimo storico dello 0-0,25%. Il Fomc, il comitato che decide della politica monetaria americana, ha precisato che un aumento ci sarà quando si vedranno ulteriori miglioramenti sul mercato del lavoro e l’inflazione tornerà verso l’obiettivo di medio termine del 2%. In particolare la Fed guarda con attenzione agli sviluppi internazionali, soprattutto della Cina e delle altre economie emergenti.


Tokyo, sentiment positivo
Il MIISI sull’indice Nikkei 225 scende da 68 punti di luglio a 60. Tuttavia, il mercato nipponico rimane uno dei preferiti dagli investitori, perché ha dimostrato una buona resistenza agli alti e bassi delle Borse mondiali, almeno fino al mese scorso. Le politiche monetarie espansive hanno favorito la crescita dei profitti e le prospettive economiche sono moderatamente positive, dopo il rallentamento registrato nel secondo trimestre.


Lontani dagli emergenti
A settembre, il MIISI sui mercati azionari emergenti è sceso ai minimi da gennaio 2014 (data di inizio del calcolo dell’indice). I gestori prevedono uno scenario neutrale per i prossimi sei mesi. Sono molti i fattori di preoccupazione, tra cui le decisioni di politica monetaria negli Stati Uniti, la volatilità della Borsa cinese e le difficoltà interne dell’economia brasiliana.


Bene i titoli periferici
La decisione degli investitori di spegnere il rischio si è riflessa sull’andamento dei mercati obbligazionari, oltre che di quelli azionari. A settembre, gli indici di sentiment sui prezzi dei titoli di stato tedeschi e americani, considerati porti sicuri, sono tornati a crescere verso uno scenario neutrale (rispettivamente 47,21 e 43,13 punti). E’ salito anche il MIISI sul BTp decennale italiano, che, come i governativi di altri paesi periferici, è favorito dalla politica monetaria accomodante della Bce.

Per quanto riguarda gli emergenti, il sentiment è sceso sotto i 50 punti a settembre. La situazione cinese, e più in generale dei mercati in via di sviluppo, tiene gli investitori lontani da questa classe di attività, soprattutto dal debito in valuta locale.


Euro/dollaro e politiche monetarie
A settembre, l’indice MIISI sul rapporto di cambio tra euro e dollaro è risalito dai 39,7 punti di luglio a 43,8. I gestori non si attendono grandi deprezzamenti della valuta comunitaria nei prossimi mesi, tuttavia le manovre di politica monetaria delle banche centrali sono destinate ad avere un forte impatto sui cambi, come ha dimostrato la forte volatilità generata dalle aspettative sui tassi americani.

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Agosto gela l’industria europea dei fondi


Morningstar ha stimato riscatti netti pari a 17,98 miliardi di euro nel Vecchio continente. E’ pesante il bilancio per gli azionari e gli obbligazionari. Continua il trend positivo di bilanciati e alternativi. Gli indicizzati corrono da soli.

Sara Silano 01/10/2015 | 14:16


Ad agosto gli investitori europei hanno ridotto l’esposizione alle attività finanziarie rischiose, preoccupati per il rallentamento dell’economia cinese e per le ripercussioni sulla congiuntura mondiale. Secondo l’ultimo Morningstar asset flow report, i riscatti netti dai fondi a lungo termine (esclusi i monetari) sono stati pari a 17,98 miliardi di euro, il risultato peggiore dal giugno 2013, quando la Federal Reserve annunciò l’intenzione di uscire dalla fase di politica monetaria ultra-espansiva (Taper Tantrum).


Ritorno al 2008
I fondi azionari sono stati i più penalizzati (-20,1 miliardi), in un mese di forti vendite sulle Borse internazionali. L’indice Morningstar World all-cap ha perso il 7,4% in euro in agosto, uno dei crolli più pronunciati in un solo mese dalla crisi del 2008. Deflussi consistenti si sono registrati anche tra i comparti obbligazionari (-17,64 miliardi), mentre i bilanciati e gli alternativi hanno continuato a raccogliere tra gli investitori. E’ positivo anche il dato dei monetari (+17,04 miliardi), nonostante i bassi rendimenti (in media, nell’ultimo anno la performance è stata dello 0,19% per quelli in euro).


La crisi non tocca i fondi passivi
“Entrando nel dettaglio dei dati, si nota come i deflussi di agosto riguardino interamente i fondi non indicizzati”, dice Matias Möttölä, dell’Emea Manager research team. “Per contro, gli indicizzati (esclusi i monetari) hanno avuto flussi netti per 2,17 miliardi di euro e gli Etf per 8,86 miliardi, per un totale di oltre 11 miliardi”. Morningstar ha calcolato che il 13% del patrimonio totale dei fondi europei è in prodotti passivi, percentuale che sale al 22,4% per i comparti azionari (solo negli ultimi due mesi, la quota di mercato degli equity index è salita di 88 punti base).


Via dagli emergenti
A livello di categorie, la peggiore è stata quella degli Azionari internazionali large cap blend, principalmente a causa del trasferimento interno di asset da parte di Union Investment, tra il fondo UniGlobal e il neo-lanciato UniGlobal Vorsorge allocation. A parte questo fattore “tecnico”, gli investitori sono usciti soprattutto dagli azionari emergenti e asiatici.

Agosto è stato un mese difficile anche per gli obbligazionari. La svalutazione della divisa cinese ha messo sotto pressione quelli specializzati nei paesi in via di sviluppo, mentre i segnali di un peggioramento della congiuntura globale hanno determinato un allargamento degli spread creditizi, alimentando i deflussi dagli high yield.


L’alternativo si fa strada
Per contro, le categorie più popolari ad agosto sono state quelle dei bilanciati moderati in euro e degli alternativi multistrategy (fondi che utilizzano un approccio simile a quello degli hedge fund). Questi ultimi, hanno messo a segno una crescita organica (flussi come percentuale degli asset iniziali) del 31,17% da gennaio. Nella top ten delle categorie, ci sono altri comparti alternativi, tra cui i market neutral – equity e i global macro, anch’essi interessati da forti tassi di crescita dall’inizio dell’anno.


Chi sale e chi scende
Tra le società di gestione, circa la metà di quelle europee ha registrato una raccolta netta positiva ad agosto. La migliore è stata Pioneer Investments (+1,55 miliardi), grazie in particolare alla popolarità della gamma bilanciata. Seguono Invesco, Credit Suisse, BlackRock e Eurizon Capital. Se nella classifica si introducono gli Etf, le posizioni cambiano, con iShares (gruppo BlackRock) che balza al primo posto (+2,1 miliardi).


Agosto è stato un mese difficile per alcune grandi case di investimento, tra cui Franklin Templeton che ha subito deflussi netti per 4,18 miliardi, e M&G (-2,34 miliardi). La peggiore, tuttavia, è stata la belga KBC (-4,8 miliardi), il cui team di allocation ha spostato masse dai fondi a lungo termine verso i monetari (questi ultimi sono esclusi dalle statistiche di raccolta). A livello di singoli comparti, solo i due veicoli di Standard Life per la strategia global absolute return (la versione lussemburghese ha rating Bronze ed è disponibile in Italia) hanno avuto sottoscrizioni nette positive, tra i più grandi per masse gestite.

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Strategic beta, fenomeno globale



Le masse sfiorano i 500 miliardi di dollari a livello mondiale. Gli Usa sono il mercato più maturo, ma l’Europa avanza. Morningstar ha fotografato cosa è cambiato nell’ultimo anno.

Sara Silano 05/10/2015 | 10:58



Gli Etp (Exchange traded product) strategic beta conquistano gli investitori a livello globale. Secondo l’ultimo rapporto di Morningstar sul settore (il primo era stato compilato un anno fa), il patrimonio gestito è passato da 396 a 497 miliardi di dollari tra giugno 2014 e lo stesso mese del 2015. Sono aumentati anche i prodotti, passati da 678 a 844. In termini di organic growth rate (flussi in percentuale degli asset iniziali), l’incremento è stato del 19,6%. Numeri che fanno di questo segmento uno di quelli a più rapida crescita nell’industria degli indicizzati (gli strumenti strategic beta replicano benchmark che cercano di avere un miglior profilo di rischio o di rendimento rispetto ai tradizionali a capitalizzazione).

Gli Stati Uniti sono il mercato più grande e rappresentano oltre il 90% delle masse totali. L’Europa, che si posiziona al secondo posto, segue con grande distacco (6,5%); presenta però tassi di crescita (organic growth rate) più elevati (+27% contro +23,5%).


I trend globali
Le dinamiche di sviluppo presentano elementi comuni a livello mondiale. I più diffusi sono gli Etf orientati al dividendo, diventati molto popolari in un contesto di bassi tassi di interesse. Altro fattore, è la sempre maggiore complessità degli indici di riferimento. La tendenza è quella di inserire caratteristiche della gestione attiva nei benchmark, con conseguente aumento del lavoro di due-diligence. In prospettiva, gli analisti di Morningstar si attendono una riduzione dei costi dei prodotti, derivante dalla maggiore competizione internazionale. I primi segnali in questa direzione si sono già manifestati; tuttavia è prevista una accelerazione negli anni a venire.


Strategic europei in salsa giapponese
In Europa, dove le masse gestite hanno raggiunto i 32,1 miliardi di dollari, con flussi netti pari a 7,3 miliardi in dodici mesi (a giugno 2015), la quota di mercato è passata dal 5,7 al 6,3% del totale dell’industria degli indicizzati. Gli strategic beta hanno rappresentato l’11% dei flussi totali. Nel periodo considerato sono stati lanciati 44 Etp, con le maggiori innovazioni sul fronte azionario.

La strategia più popolare è stata quella sul JPX Nikkei 400, che da settembre 2014 (data di lancio) a giugno 2015 ha raggiunto un patrimonio di 1,5 miliardi di dollari, suddiviso su diversi Etp emessi da Source, Lyxor, iShares, Amundi db x-trackers e Nomura. Si tratta di un indice fondamentale, che usa criteri di selezione dei titoli quali-quantitativi e permette di superare il problema della scarsa corporate governance delle imprese giapponesi. Il secondo trend, legato al primo, è la quotazione di Etp coperti dal rischio di cambio, in particolare verso lo yen.


New entry
Nell’ultimo anno è arrivato in Europa anche il primo strumento low-beta (db X-trackers Equity Low Beta Factor UCITS ETF, che replica un indice composto da titoli con il più basso beta (sensibilità ai movimenti dell’indice) nei confronti dell’Msci World. PowerShares, invece, ha introdotto un Etp sui buyback (ri-acquisto di azioni proprie da parte delle società), il PowerShares Global Buyback Achievers UCITS ETF.

In un mercato che sta maturando, non sono mancate le chiusure: 11 strategie hanno cessato di esistere, la maggior parte nel settore delle materie prime, in particolare dell’energia. Come nel resto del mondo, le strategie più popolari sono quelle sui dividendi (oltre il 50% del totale), ma avanzano i prodotti low volatility.


Al top
Tra gli emittenti, iShares è prima per masse (13,8 miliardi di dollari) e numero di Etp (32). Seguono a distanza Spdr (State Street) e db x-trackers, rispettivamente con 3,5 e 2,5 miliardi di masse. Per quanto riguarda i singoli prodotti, il più grande è iShares Developed Markets Property yield, che offre l’esposizione ai fondi immobiliari (Reit) con più alto rendimento (3 miliardi di dollari). Il secondo è SPDR US Dividend aristocrats ETF (2,1 miliardi).
 
Etp, i migliori e i peggiori di settembre



Hanno brillato le materie prime e alcune esposizioni strategiche ai mercati emergenti. Male invece l’America Latina e il settore delle infrastrutture.


Valerio Baselli 05/10/2015 | 10:40



L’ondata di volatilità vissuta dai mercati nel mese di agosto ha offerto agli investitori con maggior appetito per il rischio numerose possibilità di posizionarsi su asset class che avevano perso terreno in precedenza. Tra queste, ci sono sicuramente le materie prime, vera sorpresa della classifica Morningstar degli Exchange traded products (Etp) più (e meno) redditizi del mese di settembre .

Gli Etp, infatti, essendo strumenti puramente passivi, riflettono nei loro movimenti l’evoluzione dei mercati, senza che la performance venga distorta dalle scelte (buone o cattive) di un gestore attivo. Inoltre, i replicanti vengono sempre più utilizzati come strumenti per posizioni tattiche di breve periodo. Perciò i rendimenti riflettono fedelmente quello che viene definito come il sentiment degli investitori.

Secondo i dati Morningstar, in settembre, tra il miglior Etp (in termini di rendimento) e il peggiore ci sono circa 34 punti percentuali (prendendo in considerazione quelli quotati su Borsa Italiana ed escludendo i replicanti strutturati, cioè a leva o short).


Chi sale
Dando uno sguardo alle tabelle sottostanti, a farla da padrone nella Top Ten dei fondi passivi quotati che hanno reso di più il mese scorso, dopo un lungo periodo di sofferenza, sono senza dubbio le commodity (agricole, energetiche e metalli) che occupano ben otto posti su dieci.

Inoltre, troviamo due replicanti di indice “strategici” sui mercati emergenti. Uno esposto alle small cap con i migliori dividendi e l’altro a un benchmark di tipo fondamentale (Rafi) sulla regione dell’Asia-Pacifico.


E chi scende
Tra quelli che sono andati peggio, si confermano ancora una volta i mercati sud americani, col Brasile in testa, oltre alla Turchia. Più soprendente, invece, trovare nella Flop Ten uno strumento che replica il mercato delle società large cap britanniche. Male anche il settore europeo delle risorse di base e delle infrastrutture.

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Saldi d’Europa


Nonostante alcuni sprint dei listini del Vecchio continente, nella regione ci sono ancora delle azioni con uno sconto interessante rispetto al fair value. Ma la situazione dell’area e le incertezze a livello globale consigliano di muoversi con prudenza.

Marco Caprotti 13/10/2015 | 14:49



L’eredità lasciata agli investitori dai ribassi estivi sui mercati europei non si è ancora esaurita. Nonostante i rialzi delle ultime sedute, infatti, secondo le analisi Morningstar sui listini del Vecchio continente ci sono ancora dei titoli con sconti interessanti rispetto al fair value. Il mercato, insomma, non ha ancora recuperato il -8,67% fatto segnare dall’indice Msci Europe nel mese di agosto e il -4,38% registrato a settembre (rispettivamente -8,45% e meno 5% per l’Msci Euro). Nella tabella sottostante è elencata una pattuglia di titoli con una sottovalutazione media totale del 17% rispetto al prezzo obiettivo stimato da Morningstar.

“E’ utile sottolineare come due società, Roche e Nestlé, abbiano un fair value abbastanza stabile nel tempo”, spiega Jocelyn Jovéne, del team di Equity research Emea di Morningstar. “Questo significa che il loro obiettivo di prezzo nel corso dei mesi dovrebbe subire meno variazioni rispetto a quello di altre società”.

A fare da contorno a questi numeri ci sono le previsioni macro sulla regione. Eurostat ha corretto al rialzo la stima di crescita del Pil nella zona euro nel secondo trimestre portandola da +0,3% indicato a metà agosto a +0,4% rispetto al trimestre precedente. Stesso andamento per la Ue, per la quale la previsione è invariata rispetto ad agosto. Nel primo trimestre il Pil era cresciuto dello 0,5% in entrambe le zone. Correzione della stima al rialzo anche rispetto al secondo trimestre 2014: nella zona euro il Pil dovrebbe crescere dell'1,5% e nella Ue dell'1,9% dopo il +1,2% e +1,7% rispettivamente nei primi tre mesi dell'anno. A metà agosto Eurostat aveva stimato la crescita del Pil, rispetto a un anno prima, a +1,2% per la zona euro e a +1,6% nella Ue.


La prudenza vince sempre
Tutto ciò non significa che si debbano gonfiare i portafogli con i titoli europei. La parola d’ordine, infatti, resta prudenza. Prima di tutto perché, ad esempio secondo l’Ocse, la crescita dell'area euro sta migliorando, ma meno velocemente di quanto atteso. “Se si punta la lente su alcuni paesi della regione, si vede che la Francia dal punto di vista macro sta facendo fatica, mentre la Germania non si sta comportando bene come faceva in passato”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “Non bisogna poi sottovalutare le conseguenze che lo scandalo Volkswagen potrebbe avere sulla congiuntura europea, considerando che il gruppo auto è uno dei maggiori datori di lavoro della regione”. Il carico in arrivo sul tavolo di questa partita potrebbe aumentare con la preoccupazione degli investitori per l'economia globale, che continua a essere alimentata da pessimi dati cinesi e dalla decisione di mantenere lo status quo sui tassi da parte della Fed. “I prossimi appuntamenti elettorali in Europa aumentano l’incertezza politica”, dice Pierre Oliver Beffy, capo economista di Exane Bnp Paribas. “Il dibattito sulla stretta monetaria della Banca centrale Usa continuerà ad essere sotto i riflettori”.




Le società con il miglior rapporto fra prezzo e fair value
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Etp, 28 mld raccolti a settembre


I flussi del mese sono stati trainati dall’azionario Usa e dai replicanti a reddito fisso a breve scadenza, entrambi spinti dalla convinzione (rivelatasi poi errata) di un imminente rialzo dei tassi d’interesse americani.

Valerio Baselli 12/10/2015 | 10:16



Prosegue la corsa degli Exchange traded products (Etp), che nel mese di settembre segnano una raccolta netta globale di 28,4 miliardi di dollari, portando così i flussi in entrata da inizio anno a quota 230 miliardi, 100 miliardi meno di quanto incassato nel 2014, con ancora tre mesi a disposizione.

A fine mese, i fondi passivi quotati nel mondo sono 5.713 (contro i 5.431 di inizio anno). Questi gestiscono complessivamente un patrimonio pari a 2.778 miliardi di dollari. A dirlo è il consueto report ETF Landscape – Industry Highlights, pubblicato dal BlackRock Investment Institute.


La rivincita degli Usa
A trainare i flussi di settembre sono stati in particolare i prodotti dedicati all’azionario Usa (11,2 miliardi di dollari) i quali hanno moltiplicato per cinque la raccolta del mese precedente. Le sottoscrizioni si sono concentrate soprattutto nei giorni subito precedenti la riunione della Federal Reserve del 17 settembre, la quale ha poi deciso di lasciare i tassi d’interesse invariati.

Prosegue la raccolta degli Etp azionari giapponesi, 6,2 miliardi in entrata nel mese, con gli investitori evidentemente incoraggiati dalle promesse di ulteriori riforme nel campo della corporate governance. Senza contare che il 9 settembre 2015 la Borsa di Tokyo ha registrato il maggior rally giornaliero degli ultimi sette anni. Bene anche i replicanti equity paneuropei, con 2,8 miliardi di raccolta netta.

Gli Etp che replicano i mercati azionari emergenti, invece, hanno visto nel mese riscatti netti netti per 3,2 miliardi di dollari, sulla scia dei dati cinesi che continuano a deludere. “Lo scorso mese, comunque, i deflussi dai mercati azionari emergenti sembrano essere diminuiti – ha commentato in una nota Ursula Marchioni, capo analista EMEA di iShares – Abbiamo anche rilevato un crescente interesse per le strategie minimum volatility focalizzate sugli emergenti, che potrebbe rappresentare un primo segnale di un rinnovato desiderio da parte degli investitori di prendere nuovamente esposizione al tema, con una certa protezione al ribasso. I deflussi dall’asset class registrati nel terzo trimestre dell’anno rimangono significativi e, nonostante sia troppo prematuro pensare che i mercati in via di sviluppo abbiano raggiunto i minimi, riteniamo sia un'area da osservare”.


Sì ai bond, ma di qualità e a breve scadenza
In attesa della riunione Fed, gli investitori hanno puntato sugli Etp obbligazionari a breve scadenza, i meno impattati da un possibile rialzo dei tassi Usa, i quali hanno incassato nel mese 5,7 miliardi di dollari, cioè il 40% della raccolta totale dei replicanti a reddito fisso (11,6 miliardi). La voglia di proteggersi da un eventuale rialzo dei tassi, che ancora non c’è stato nonostante le previsioni, ha portato gli Etp obbligazionari a breve scadenza a raccogliere nei primi nove mesi dell’anno 25,5 miliardi, il doppio dei flussi in entrata registrati nell’intero 2014.

I prodotti investment grade hanno incassato sottoscrizioni per 1,4 miliardi, mentre gli Etp di tipo high yield hanno perso per strada 1,3 miliardi.

Infine, la volatilità di settembre non ha favorito le materie prime, con gli Etc che hanno segnato in generale deflussi per 400 milioni di dollari; in controcorrente i prodotti auriferi, che hanno incassato nel mese 200 milioni.
 
Gestori, l’Europa può resistere alla Cina


Le Borse del Vecchio continente sono le preferite nel sondaggio tra le principali case di investimento che operano in Italia. L’attesa per il rialzo dei tassi negli Usa fa innervosire i mercati obbligazionari.

Sara Silano 15/10/2015 | 10:33



Incertezze legate all’economia cinese e prospettiva di un rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve sono i temi che domineranno l’ultimo trimestre sui mercati finanziari. In questo contesto, i gestori, interpellati da Morningstar nell’ultimo sondaggio condotto a inizio ottobre tra le principali case di investimento che operano in Italia (a cui hanno partecipato una ventina di investitori professionali), mantengono un atteggiamento di cauto ottimismo nelle scelte di portafoglio.

Nel complesso, il Morningstar Italy Investment Sentiment index (MIISI), costruito sulla base delle probabilità attribuite a diversi scenari (mercati in salita, stabili o in discesa), su un orizzonte di sei mesi, mostra un moderato ottimismo sulle Borse dei paesi sviluppati e aspettative più negative sul reddito fisso.


Eurolandia, scenario positivo
A ottobre, è risalita la fiducia sulle piazze finanziarie europee, con l’indice MIISI che è passato da 64,61 punti di settembre a 68,68. Il Vecchio continente è l’area preferita dai gestori azionari, che si sono lasciati definitivamente alle spalle la crisi greca e guardano positivamente al proseguimento del Quantitative easing (politica monetaria ultra-espansiva) da parte della Bce, alla debolezza della divisa comunitaria, alla ripresa del credito e alla minore austerità fiscale.

Le previsioni sull’Italia sono simili al resto d’Europa: l’indice MIISI è salito da 65,79 a 71,05 punti. Gli investitori apprezzano il miglioramento del quadro macro, anche se non c’è ancora accordo sui tassi di crescita futuri.


Usa, occhi sulla Fed
Migliora il sentiment su Wall Street, a ottobre, passando da 56,7 punti di settembre a 63,16. Le valutazioni dei titoli rimangono elevate rispetto agli altri mercati sviluppati, ma l’attenzione dei gestori è rivolta soprattutto alla Federal Reserve. Sebbene il presidente, Janet Yellen, abbia affermato di aspettarsi un rialzo dei tassi quest’anno, la decisione è legata ai dati macro e in assenza di un cambiamento di rotta da parte della Cina e dei mercati emergenti, la tempistica è incerta.


Tokyo, l’economia zoppica
Il MIISI sull’indice Nikkei 225 sale da 60 punti di settembre a 65. L’economia dà chiari segnali di indebolimento e aumenta il rischio che il Giappone scivoli nuovamente in recessione. Per questa ragione, i gestori non escludono una espansione del programma di stimoli monetari da parte della Banca centrale.


Emergenti in difficoltà
I gestori mantengono un atteggiamento cauto verso i mercati azionari emergenti, anche se sono più ottimisti del mese scorso (il MIISI è passato da 50 a 58,06 punti tra settembre e ottobre). In particolare, continuerà a prevalere la volatilità nelle Borse cinesi, in un contesto di rallentamento economico. Negli altri paesi in via di sviluppo, ci vorrà tempo per vedere gli effetti dei tagli dei tassi e della svalutazione monetaria.


Bond, più volatilità
Nel reddito fisso, a ottobre, lo scenario più negativo riguarda i prezzi dei titoli governativi americani. L’indice MIISI sul Treasury decennale, infatti, è sceso sotto i 40 punti. E’ un po’ più ottimista il sentiment sul Bund tedesco di pari-scadenza (43,82 punti). Si avvicinano a uno scenario neutrale, invece, gli indici sui prezzi dei BTp italiani (47,63) e sui bond emergenti (48,47). I gestori si attendono un aumento dei rendimenti, degli spread (differenziali) creditizi e della volatilità a causa delle incertezze che dominano sui mercati mondiali (il problema della Cina, le attese per il rialzo dei tassi negli Stati Uniti, la divergenza nelle politiche monetarie, ecc.).


Dollaro più forte
A ottobre, l’indice MIISI sul rapporto di cambio tra euro e dollaro è sceso a 40,39 punti (43,8 a settembre). Un allargamento del programma di Quantitative easing nel Vecchio continente, potrebbe dare ulteriore slancio al biglietto verde.

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Gestori, l
 

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