Se l'Italia è lontana dal podio della produzione di autovetture complete, a livello europeo si ritrova al secondo posto nel mercato della componentistica automotive. Di quale tipo di filiera si tratta? «È settore disomogeneo, costituito da un reticolo di molti mestieri diversi» spiega Zabeo. Tra subfornitori, specialisti, società di engineering/design e sistemisti/produttori di moduli, si parla di duemila imprese, 200mila addetti e un fatturato complessivo di 52 miliardi di euro.
Le dimensioni di queste aziende è la più varia. Le grandi, in realtà sono la minoranza. I nomi più noti sono Brembo, Magneti Marelli, Valeo e pochi altri. Offrono soluzioni e prodotti per diversi ambiti della componentistica. Moltissime, invece, sono le Pmi più specializzate - ad esempio negli stampi - e le microimprese. La maggioranza delle Pmi della componentistica automotiva made in Italy hanno una spiccata vocazione per l'export. «Va all'estero il 93% della nostra produzione, ma una buona parte delle commesse dall'Italia provengono da marchi di lusso che vendono le loro autovetture all'estero»- racconta Massimo Calearo Ciman, presidente di Calearo Antenne.
Un'altra caratteristica delle eccellenze italiane che riescono a imporsi a livello internazionale è la capacità di adattarsi velocemente alle nuove esigenze del mercato. «Siamo nati come produttore di carburatori, ma da anni forniamo anche centraline, sistemi di iniezione e per la gestione dei gas di scarico e altre tecnologie» spiega Andrea Dell'Orto, vicepresidente esecutivo della Dellorto.
Due requisiti oggi per queste imprese è saper fare sistema e investire in tecnologia. Il primo permette, fra altre cose, alle Pmi di non restare tagliate fuori da commesse internazionali di elevato valore economico. Il secondo di essere in sintonia con la crescente complessità tecnologica dei prodotti automotive, di rendere più efficienti i processi di ricerca, sviluppo e produzione e, chiosa Dell'Orto, «anche di trattenere in Italia i giovani talenti attratti dalla digitalizzazione».